(pubblicato nel contesto di “Art & Culture” N.1 su 60.700.000
come potete verificare clickando qui 14-5-16 CET 5.00)
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(clickando qui potete trovare la 3. puntata)
Bentornati al nostro quarto appuntamento con la rubrica “Le anime di carta”.
Ci eravamo lasciati al punto in cui la strada si faceva ingarbugliata con i primi intoppi, come solitamente la vita è nella sua normalità.
La mia decisione di entrare nel mondo dell’editoria, non era condizionata da alcuna informazione precisa. Non avevo amici che lo avevano già fatto, né conoscenze nel settore, in poche parole non sapevo proprio da che parte iniziare. E come tutti ho cominciato a prendere le prime “fregature”.
Le chiamo così con il sorriso, perché in effetti è come se noi emergenti, carichi di tante belle speranze portassimo dietro un cartello con scritto: “disponibile a tutto”!
Io lo dovevo di certo avere senza saperlo. Infatti ho una collezione di contratti editoriali, non firmati, che potrebbe far luce su quanto attirassi proposte a me non convenienti. Perché di certo lo erano per gli editori, ma trovando le mie tasche vuote, non si sono mai concretizzate.
Così di delusione in delusione, di attesa in proroga, di mese in mese, ho visto diminuire le speranze di poter avere un vero contratto editoriale a supporto. Ma non ho smesso di scrivere. Anzi più la vita mi deludeva, più tiravo giù idee e storie. Quasi per dispetto. Più il mondo mi diceva di non avere spazio per me, più dimostravo di volerlo.
Alla fine come tutti i sogni nel cassetto, la mole di fogli che ne era nata, dal cassetto usciva fuori e seguendo il motto che imperversa sui social, alla fine il mio sogno l’ho messo in bella mostra sulla mensola.
Questa volta i racconti erano cinque, molto intensi ed elaborati ed avevano già un nome. Un’altra anima di carta pretendeva il suo posto, ma ve lo racconto la prossima volta.
Ora è il turno de “il Giardino Viola”, buona lettura…
Quante cose nuove scopriva. Non che avesse dubbi, ma vederle scritte nero su bianco, confermava e rassicurava. Ancora una volta sua madre aveva colpito nel segno. Era quello che le voleva trasmettere, ed era quello di cui aveva a sua insaputa bisogno. Se no, non si spiegava la strana sensazione di benessere che provava leggendo. Una vita non più invisibile per nove mesi, reale, che aveva lasciato traccia. Si sentiva importante. Gratificata. Poi tutti quei complimenti. Magari un po’ immeritati. Di cavolate ne aveva commesso. Una vita mica perfetta. Un cliché non da figlia lodevole. Eppure quei complimenti le mettevano a posto la coscienza. Ora poi che ne aveva un gran bisogno.
Il ruolo di genitore non doveva essere facile, ok, ma vogliamo parlare di quello di figlio? Deludi sempre tutti se fai ciò che ti attira. Hanno già disegnato il tuo percorso e si aspettano che lo segua come se ti fosse venuto spontaneo. Condizione necessaria per un bravo figlio. Gli amici che frequenti non piacciono, il cibo che ingurgiti, dicono, ti fa solo male, il tempo libero poi, è tempo sprecato … e la scuola?
Altro incubo. Quante amiche si sono ritrovate a far scelte non proprie per accontentare le costanti aspettative della famiglia. Ecco in una sola parola ti ritrovi a cercare di accontentare gli altri, ma è un vestito stretto che ogni tanto si strappa. Raramente la famiglia capisce e si accorge di cosa ti è davvero adatto. Loro fanno discorsi pratici, legati al lavoro, al futuro, ma tu la testa ce l’hai rivolta al piacere, al volerti sentire viva. Come può essere sbagliato se ti fa stare bene? Come può essere giusto quello che ti condanna a fare scelte non tue? Come può alla lunga non portarti a essere infelice? Sì, come tutte quelle persone che ti stanno intorno e vedi spente alla ricerca di capire il perché. Troppo immerse nelle loro personali sabbie mobili per anche solo pensare di uscirne. Di certo è un’incognita capire come seguire tutti la stessa strada possa portare da qualche parte. Comprendere come la tua infelicità diventi la felicità altrui e viceversa è un rompicapo senza fine. Forse ogni generazione rompe con la precedente per questo. Raramente ci si incontra a metà strada.
Queste riflessioni la facevano diventare triste. Dopotutto se la mamma le aveva scritto che, da subito, si era accorta di non avere possibilità alcuna di influenzare la sua vita … era già un passo avanti. Non doveva averla fatta soffrire troppo con i suoi costanti no. Per un certo periodo era stata infatti soprannominata “signora no”. Era più forte di lei le spuntava da dentro la voglia di reagire. Solo crescendo e maturando aveva capito il valore del compromesso. Ma è tutto un altro discorso. I no servivano per affermarsi, sbattendo a volte contro il muro, per diventare più forte. Si un gioco-forza che faceva diventare l’aria terribilmente gelida. Li vedeva ancora quegli sguardi taglienti che le passavano intorno. Si permetteva di alzare il tiro, un po’ per vedere se riusciva a spuntarla, un po’ per impeto. Non sempre riusciva nell’intento, ma a volte era più per godere della vittoria che per il risultato, che lo faceva. Spesso non le importava nemmeno del risultato. Un gioco. Povera mamma. Quante litigate.
“Tutto e’ un enigma e la chiave di un enigma e’ un altro enigma.” Sì proprio così, amore mio, tu sei stata un enigma. Bello, ma non mi riusciva mai di risolverlo. Fino a quando ho smesso di provarci. Allora il rapporto tra noi due ha iniziato a filare meglio. Ho in effetti usato un trucchetto. Ho provato a ricordare quando avevo la tua età come mi sarebbe stato difficile accettare consigli esterni. Cocciuta lo sono sempre stata, ma mai quanto te. Nemmeno lontanamente libera quanto te. D’altronde i tempi cambiano e sono difficilmente paragonabili. Anche senza volere sono caduta nella cattiva abitudine di tutti. Quel “non lo farò mai” l’ho fatto. “Mai quando avrò figli imporrò loro questo o quello” e invece… Non so se è più forte di noi, ma, di fatto, si arriva a ripercorrere le strade fatte da altri prima, sbagliando. Allora ho cambiato lentamente strategia. Ho seguito il cuore senza curarmi delle paure. Amore incondizionato. Ti ho lasciata libera. E poi stare in ansia, guardare l’orologio. Pregare, sperare. Mangiarsi il fegato, pentirsi mille volte di aver detto sì. Tutto sarebbe più facile se si riuscisse a galleggiare sulla superficie delle nostre ansia. Quante notti insonni, quanti dubbi di aver fatto la cosa migliore, di averti protetto abbastanza, averti messo in condizione di sopravvivere alla vita. Ogni giorno con te è stata una sfida. Mi hai messo in gioco come una biglia. Più sentivo il dolore di lasciarti andare, più ti vedevo felice. Se accondiscendevo con i “sì” ti perdevo. Ma con i “no” ti allontanavi da me lo stesso, chiudendoti a riccio. Almeno sapevo cosa ti passava per la testa. Certo ogni giorno arrivava un nuovo progetto. Alle prese con uno sport, con emozioni adrenaliniche, come: rafting nel fiume, il volo con il parapendio … potevi, dico io, continuare con il tennis che mi è costato sudore e sacrifici? Alle prese con lezioni di chitarra e batteria senza mai cavare un ragno dal buco visto che tu la musica è meglio che la continui ad apprezzare da ascoltatrice. Alle prese con le tecniche di disegno per far emergere il Picasso che forse ti sei ingoiata digerendolo. Troppo profondo lo hai nascosto perché non è mai uscito allo scoperto. Incostante, sempre in movimento, a caccia di nuove opportunità. Non parliamo poi di quando hai affrontato il campo sentimentale. Lì per me son stati spilli!
Però, riconoscilo. Ho avuto pazienza. Tanta. Darti tutta la fiducia di cui avevi bisogno per fare le tue prove e scoperte mi è costato molto, non sapevo se ne avresti fatto buon uso. Sappi che è solo quello che trattiene un genitore. La paura folle che il male del mondo si attorcigli alle cose belle e le possa rovinare irrimediabilmente. Solo quello. Ma dal momento che solo vivendo si impara a sopravvivere ho dovuto forzarmi e lasciarti spazio.
Dio sa quanto la mancanza di libertà e fiducia siano colpevoli per il naufragio dei rapporti umani. Più crescerai più ti accorgerai che ciò che ti dico è applicabile a molti campi. Io l’ho sperimentato su me stessa, sul costruire finalmente un rapporto con te. Quando ho imparato a fidarmi di te a vedere spiragli di luce nel tuo cammino ho pensato che era ora di smettere di fare il generale. Te la saresti cavata senza i miei divieti. La vita non è un manuale scritto in cui cerchi la pagina con la regola che ti serve e la applichi. Purtroppo è una roulette russa. Per un certo periodo semini e aspetti, coltivi e aspetti, raccogli e giudichi. Per lo più aspetti. Inutilmente anche, ma te ne accorgi solo dopo.
…( Nadia torna giovedi’ prossimo in “Anime di Carta”)
Nadia Banaudi ©2016