(N.1 al mondo su 313.000 entries con la rubrIca “Suggestioni e percorsi poetici” come potete verificare qui – 20/6/16 – 12.13 cet)
(pubblicato nel contesto di “Art & Culture” N.1 su 60.700.000
come potete verificare clickando qui 14-5-16 CET 5.00)
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Negli ultimi anni lo scenario poetico italiano sembrava scosso da un filone che poneva al centro della propria poetica l’idea e l’espressione del “bello”, un filone nei confronti del quale mi sono sempre posto come fiero contraltare. Ora non mi metto a spiegare quel concetto di “bello” (che lo facciano loro), ma vorrei raccontare come io per banale equivalenza non sono portatore di un’idea che si rifà al concetto di “brutto”, tutt’altro direi. Per prima cosa vorrei mettere in chiaro che la “bellezza” per me non è mai oggetto e nemmeno soggetto, mai un qualcosa semplicemente da ammirare né un qualcosa da cui rimanerne ammaliato; semmai è il motore di dinamiche creative. La “bellezza” colpisce i sensi che scuotendo l’intimo profondo provocano sensazioni ed emozioni, sviluppano idee e forme, danno vita a sentimenti e utopie: ecco il percorso che dalla percezione del “bello” attiva un processo che porta alla creatività, alla vita stessa. Quindi la mia “bellezza” può in linea teorica annidarsi in qualsiasi cosa e da qualsiasi cosa diventare possibilità assoluta, posso trovarla ovunque ma mai nelle convenzioni, i cliché, gli stereotipi, le rime cuore/fiore/amore, le riproduzioni, le bellone rifatte, i copioni già scritti e cose simili. La ”bellezza” non è riproduzione, è vita che si basa su due pilastri:
ESTETICA E MENTE
Come…
…un dito che traccia la via sortita dal muro trasparente di forme
dissolventi e acquietate assorte in pennichelle leggere dimezzate
strimpellate puntuali a rintocchi soffocati di timpani lontani lontani
…una mano che accarezza sul dorso ogni braccialetto di filo che gira
ogni sogno giovanile che vive nell’animo nelle gambe nelle ali di stoffa
come desideri liberati dallo sguardo che mira traverso nel vento che soffia
…il tuo volto che parla nel sorriso con gli occhi e ogni forma possibile
nel concavo/convesso delle labbra disegnate sul pensiero che corre
…i tuoi passi come salti sul bordo dei fossi nel senso di geometrie allungate
deformate rimescolate tra balzi nell’aria frizzante di un temporale attraente
…estetica scandita nel minimo tratto dallo sciacquio irridente di forme di modi
bellezza accomodata sinuosamente nei solchi della mia pelle d’oca
la tua bellezza
…mente spogliata dai legacci intarsiati d’argento esplosa nell’etere diffuso
di giorno e di notte irridente di cappotti tagliati e cuciti da gufi appollaiati
libertà di sfiorare la mia bocca socchiusa che canta visioni contorte
la tua libertà
BRIVIDI DI SUBLIME
La prima volta che mi sono trovato sulla mattonella più “bella del mondo” ero molto piccolo, vestivo con pantaloni corti all’inglese, calzettoni blu e berretto con i parorecchi stile Quiquoqua. A destra di trequarti del Campanile di Giotto rivolto verso lo spigolo di Santa Maria del Fiore, la testa sollevata e lo sguardo rivolto alla cupola… una vampa è partita dai piedi salendomi lungo la schiena, su su fino a inumidirmi gli occhi rapiti. Un brivido di sublime che mi percorre ogni volta che sono nuovamente li (a volte anche solo pensandoci): uguale, intenso, stupefacente, arrampicato sui marmi, abbarbicato ai mattoni come dentro un vortice, sospeso fra il mondo e il tutto, fra la linea retta del campanile e quella arrotondata della cupola. La medesima cosa mi è accaduta e mi accade in momenti precisi di due musiche, diverse e lontane nel tempo, ma sublimi nella stessa maniera. Quando all’inizio del secondo movimento del Concerto 21 per pianoforte in MI maggiore di Mozart i tasti si annunciano lievi e quasi timidi sul tappeto/pedale degli archi non esiste più nulla al mondo, solo loro, solo quella melodia percossa dal brivido. E similmente quando la voce bassa e limpida di David Bowie attacca “I, i will be king” sopra quella musica densa ed elettrizzante, accompagnandoti per mano e sferzandoti lungo la strada di ogni sogno possibile, fosse anche soltanto per un giorno. E poi, naturalmente, l’artefice di tutto, il fattore scatenante: lessi, durante una lezione di Francese alle medie, Sensation di Arthur Rimbaud. Ero un ragazzino molto abile con i numeri e molto divertito a usarli e giocarci perdendomi in conti e formule che finivano anch’esse con il lambire l’infinito, ma quel giorno si determinò, se non proprio il senso, almeno l’ambiente del mio intimo profondo. Fu come se in un istante quel bagliore di sublime mi direzionasse nel mondo. Uscito da scuola, andai in libreria per comprare un libro di Rimbaud: c’era soltanto il meridiano con l’opera omnia, ma non avevo abbastanza soldi e tornai nel pomeriggio per comprarlo. Da allora per una ventina di anni almeno quel libro è rimasto sui miei comodini e ogni sera ho sempre letto qualcosa e quasi ogni sera Sensation, della quale non dico nulla, ma che propongo di seguito nella mia traduzione:
SENSAZIONE
Nella notti blu d’estate me ne andrò lungo sentieri,
punzecchiato dalle spighe di grano, pestando l’erba sottile;
sognatore, ne sentirò la freschezza sotto i miei piedi.
Lascerò il vento bagnare la mia testa nuda.
Non parlerò, non penserò nulla:
ma l’amore infinito mi entrerà nell’anima
e andrò lontano, molto lontano, come un vagabondo,
nella Natura, – felice come con una donna.
E l’amore infinito che entra nell’anima è l’illustrazione più perfetta che parole umane possano offrire al senso profondo dell’essere artista…
…poi quel brivido di sublime mi pervade anche quando incontro una donna che mi piace davvero, ma questo è un altro aspetto sul quale mi soffermerò abbondantemente nella seconda parte, a lunedì prossimo…
(… lunedì prossimo la seconda parte)
Renato Barletti ©2016 Potete seguire Renato ogni lunedì in “Suggestioni e percorsi poetici”