(pubblicato nel contesto di “Art & Culture” N.1 su 60.700.000
come potete verificare clickando qui 14-5-16 CET 5.00)
(la rubrica ” I libri!” è la N.3 su 1.910 siti come vedete qui al 2/7/16 alle 9.00)
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I libri di Virgilio Martini sono stati una di quelle rare scoperte letterarie che mi hanno illuminato il percorso creatomi (e che in parte il destino ha creato per me) all’interno della narrativa fantascientifica, genere che ho amato come autore fin dal momento in cui mi sono messo per la prima volta davanti alla macchina da scrivere per buttare giù il mio primo tentativo di romanzo, nella lontana estate del 1990, e prima ancora come lettore. Ho amato i precursori e i grandi classici del fantastico e mi sono sempre dispiaciuto che l’Italia abbia contribuito così poco al genere: tolto un romanzo poco noto di Salgari (“Le meraviglie del Duemila”), uno di Buzzati (“Il grande ritratto”), uno di Landolfi (“Cancroregina”) e i racconti cosmicomici di Calvino (se proprio li vogliamo considerare fantascienza…) cosa rimane che esca dal giro degli studiosi e degli storici della letteratura? Poco o nulla.
Virgilio Martini, classe 1906 (come Buzzati), rappresenta una felice eccezione in questo panorama desolante. Ho scoperto per caso questo geniale autore toscano, dalla vita avventurosa come le sue opere, in seguito ad un viaggio a Compiobbi (piccolo centro ad una decina di chilometri dalla mia Firenze) per incontrare Berlinghiero Buonarroti, altro geniale concittadino del nostro Martini. Incuriositomi decisi di fare una ricerca su Internet, trovando poche notizie frammentarie, e in biblioteca: riuscii a reperire solo tre suoi romanzi nel circuito dello SDIAF: “Il mondo senza donne”, “La Terra senza il Sole” e “L’allegra terza guerra mondiale”. Li feci far arrivare, tramite il prestito interbibliotecario, da Borgo San Lorenzo e da San Piero a Sieve.
Non è facile infatti trovare le vecchie edizioni dei suoi libri: è un autore ingiustamente dimenticato e non più ristampato dall’88 (l’autore è morto nel 1986). Eppure i suoi libri sono usciti in diverse edizioni nel corso dei decenni ed hanno avuto varie traduzioni all’estero, oltre che recensioni favorevoli da personaggi del calibro di Pirandello e Bontempelli.
Una nota per il lettore di questo articolo: spoilerò le trame dei romanzi citati, quindi se non vuoi rovinarti la sorpresa fermati qui. Ma se disperi di trovare i libri in questione, o non ti interessa leggerli o comunque li leggeresti lo stesso vai pure avanti.
Dei tre romanzi, letti tutti d’un fiato nel giro di pochi giorni, il primo è quello che mi ha colpito di più. Pubblicato nel 1936 e subito sequestrato dalla censura fascista, dopo alcune riedizioni ha fruttato all’autore un processo per oscenità negli anni Cinquanta. Martini è stato ovviamente assolto e il libro ha avuto altre riedizioni per un totale di otto (l’ultima risale appunto a quasi trent’anni fa).
Già il titolo, “Il mondo senza donne”, dice tutto. La storia, ambientata nel XXI secolo, parte da un’ipotesi estrema: cosa accadrebbe se un’epidemia globale uccidesse tutte le donne in età fertile? L’idea mi fece subito tornare alla mente un mio vecchio racconto scritto nel 2000 (l’anno in cui cominciano gli eventi fittizi del romanzo di Martini), intitolato “Marte”. Nel mio racconto, che all’epoca ritenevo originalissimo, immaginavo al contrario un mondo futuro (anch’esso ambientato nel XXI secolo) popolato da sole donne in seguito ad una pandemia che aveva ucciso tutti gli uomini ad eccezione di tre astronauti che si trovavano in quel momento in missione sul pianeta rosso. Il mondo era andato avanti al femminile e la continuazione della specie era assicurata dalla clonazione. I superstiti maschili del genere umano, ritornati sulla Terra, facevano tutti e tre una brutta fine.
Nel romanzo di Martini l’epidemia è causata da una società segreta di omosessuali misogini che crea il virus della “falloppite” e lo diffonde (nel mio racconto l’origine del morbo rimane ignota); l’unica speranza per l’umanità è rappresentata dalla figlia di un avido ebreo da caricatura, salvata perché messa in stato di ipnosi da parte del genitore. Rebecca, questo il suo nome, è una bambina di undici anni che viene subito contesa da miliardi di uomini infoiati, di tutte le età e condizioni sociali. Viene posta sotto la protezione di un governo mondiale presieduto da un dittatore che si è guadagnato il titolo a suon di pugni, in attesa che raggiunga la maturità sessuale. All’apparire delle mestruazioni il corpo della fanciulla viene messa all’asta dall’ “altruista” genitore: ad aggiudicarselo è un vecchio ebreo che però muore prima di “cogliere il fiore”. L’incombenza dello “spulzellamento” ricade dunque sul dittatore Geo, il quale, nella sua megalomania, ha la poco brillante idea di farlo in diretta tv mondiale. L’uomo, pressato dalle telecamere, fallisce miseramente e, diventato lo zimbello del mondo, decide di ritirarsi dalla vita politica e scomparire nell’anonimato. Il vecchio Samuele, genitore della piccola Rebecca nonché ministro del tesoro, crea quindi una sorta di bordello di Stato in cui la figlia viene prostituita in nome della continuazione della razza, allo scopo di rimanere incinta il prima possibile. Nel giro di qualche mese si accoppia con più di un milione di uomini, fruttando al vecchio cifre da capogiro dai clienti che si possono permettere di usufruire della dolce compagnia di Rebecca (la quale non è certo scontenta di quella bizzarra situazione). Finalmente arriva la lieta notizia: Rebecca è incinta (di padre ignoto naturalmente). Gli entusiasmi si smorzano presto: si tratta di un bambino. La volonterosa fanciulla però non si perde d’animo e riprende il mestiere più antico del mondo con rinnovata foga. Arriva infine la bambina: Eva. A questo punto l’incombenza dell’accoppiamento con la nuova nata, una volta che anche questa ha raggiunto l’età adatta, cade proprio sul fratello, il quale si dà da fare per ingravidare anche le altre sorelline nate dalla grande progenitrice, in quanto gli uomini “pre-falloppite” sono nel frattempo così vecchi da non essere più all’altezza del compito. In conclusione la nuova umanità cresce rapidamente mentre altrettanto rapidamente decresce quella vecchia e il triste valzer delle civiltà si ripete come prima, più di prima. La battuta sul nome di “Eva” per la grande madre della razza (quando si dice “p…a Eva!”) è suggerita ma risparmiata dall’autore.
Nel 1936 non si poteva ipotizzare altre forme di riproduzione oltre a quella tradizionale; se fosse stato scritto oggi l’autore sarebbe forse ricorso all’ingegneria genetica, come ho fatto io in “Marte” (anche se funziona per un mondo di sole donne, non di soli uomini, nel qual caso si sarebbe dovuto inventare un utero artificiale per impiantare i cloni). Il romanzo di Martini è molto satirico, paradossale e divertentissimo nonostante la drammaticità degli eventi descritti, ma c’è un punto che non regge alla logica. La scienza ci dice che se una popolazione scende sotto ad un certo numero di individui non c’è “ma” che tenga: è destinata all’estinzione. L’accoppiamento tra consanguinei non produrrebbe altro che mostruosità dalla vita breve e certamente non basterebbe una donna fertile per scongiurare la fine dell’umanità. Se sorvoliamo su questo “dettaglio”, il resto del romanzo è molto verosimile e godibile, non risparmiando né la politica (Mussolini è messo tacitamente in caricatura in più di un punto), né la religione, né la morale. L’idea di un mondo popolato da soli uomini, o da sole donne, non è originale – come ho scoperto leggendo l’introduzione all’edizione del 1988: vari autori americani hanno sfruttato questa ipotesi bizzarra, in particolare la seconda (più raro il mondo di soli uomini rispetto a quello di sole donne): ciò nulla toglie al valore di questo gioiellino poco conosciuto della letteratura italiana.
Massimo Acciai Baggiani ©2016