(pubblicata nel contesto di Posivite,sustainable economy. Our dedicated section is N.1 on 10.0200.000 entires

as you can verify here, 15-7-16 CET 5.00 

 nel contesto di “Art & Culture” N.1 su 60.700.000 come potete verificare clickando qui 14-5-16 CET 5.00

ed in Prospettive by Carlo Benigni N1. su 171.000 siti come verificabile qui, 29-7-16 alle 14.00 CET)

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L’esperienza di Comunità, la sfida nazionale.

Adriano Olivetti non credeva nei partiti come strumento di rappresentanza delle persone. Li vedeva come forze chiuse, verticistiche ed autoreferenziali, legati a visioni ideologiche rigide e contenitori di egoismi individuali; a suo giudizio la partitocrazia era un’istituzione immorale. La dimensione della partecipazione doveva essere orizzontale, realizzata su aree di 100.000 abitanti, destinate ad armonizzarsi sul piano nazionale in un mosaico ispirato al federalismo di Carlo Cattaneo. I primi centri di Comunità furono costituiti nel 1949, arrivando nel 1958 a 86, di cui 72 nella zona di Ivrea e 14 nel resto dell’Italia. La loro missione era di favorire il dialogo tra persone, rendere fecondo il rapporto tra fabbrica e territorio, creare continuità tra produzione, tempo libero e cultura.

In realtà, Adriano Olivetti aveva immaginato di poter incidere nel disegno degli equilibri politici del dopoguerra, ritagliandosi un ruolo nella fase di passaggio dal centrismo al centro-sinistra. La sua linea costante era la ricerca di una conciliazione tra il cristianesimo sociale e il socialismo democratico; fallito il tentativo di Aldo Garosci di creare una forza di minoranza contigua al Partito Socialista, già nel 1956 propose direttamente al leader socialista Pietro Nenni il suo contribuito di idee e di programmi, in vista dell’unificazione tra il PSI e la socialdemocrazia di Giuseppe Saragat; progetto realizzato solo nel 1966 e fallito tre anni dopo.

Adriano Olivetti si vedeva innanzitutto come regista, animatore di progetti integrati, decisore alla testa di équipes coordinate.   Il 1956 fu un punto di svolta: arrivò alla conclusione che per realizzare il progetto

della “nuova Atene” di Ivrea, boicottato dalle autorità centrali, avrebbe dovuto presentarsi alle elezioni e diventare sindaco della città, mobilitando la struttura del Movimento Comunità. Vinse, ma un solo anno di esperienza da sindaco lo indusse a constatare che il potere vero si esercita a livello nazionale; si dimise nel 1957, guardando alla scadenza delle elezioni politiche del 1958, alle quali partecipò, alla guida del Movimento, divenuto  partito, malgrado il parere contrario di quasi tutti i collaboratori.  Ritenne realistico l’obiettivo di 500.000 voti, che avrebbero permesso l’elezione di tre senatori e da sette a nove  deputati: una forza parlamentare in grado di condizionare la svolta del centrosinistra nel nuovo parlamento.   Comunità ottenne lo 0,59% alla Camera e lo 0,65% al Senato, ben al di sotto dei 300.000 necessari per l’utilizzo dei resti nel collegio nazionale. Adriano Olivetti fece il pieno di voti solo nel suo collegio e fu l’unico deputato eletto per Comunità, con un peso irrilevante nella politica nazionale.  Di qui la decisione di dimettersi, nel 1959, lasciando il posto a Franco Ferrarotti. Peraltro,  il progetto del centrosinistra sarebbe slittato alla legislatura successiva.

 

Nel corso degli anni, Adriano Olivetti aveva finanziato personalmente l’INU, le edizioni Comunità, le sedi del movimento, e da ultimo la costosissima campagna elettorale nazionale, in seguito alla quale entrò in crisi;

fu costretto a chiedere anticipazioni sulle sue competenze e prestiti garantiti dalla sua quota azionaria. Subito dopo le sfortunate elezioni,  in seno al Consiglio di Amministrazione emerse la contrapposizione, sino ad allora latente, tra quanti vedevano l’azienda esclusivamente in funzione degli utili, e quanti, sotto la guida di Adriano, ne avevano valorizzato il ruolo propulsivo, sul piano culturale, ambientale, del welfare e da ultimo dell’impegno politico. Il Consiglio deliberò di eliminare tutti i rami passivi, a fronte del rischio di concludere per la prima volta un bilancio in passivo. Adriano dovette prenderne atto, in coincidenza con la scoperta che l’acquisizione dell’americana Underwood si era rivelata un pessimo affare; intraprese un lungo viaggio negli Stati Uniti, e nella sua genialità di imprenditore trovò il modo di ridarle redditività nel contesto multinazionale della casa madre. Al rientro, nel 1959, riprese le redini dell’azienda; ma nel 1960 era fissato il suo appuntamento con la morte. Poco tempo prima, conversando con un amico di progetti comuni, aveva detto: ” E’ vero, non siamo immortali: ma a me pare sempre di avere davanti un tempo infinito. Forse, perché non penso mai al passato, perché non c’è passato in me. Ma è vero, il tempo non aspetta”.

Un consuntivo.

A giudizio di Norberto Bobbio, filosofo, giurista, storico autorevolissimo,  Adriano Olivetti aveva espresso un “progetto politico illuministico di una mente illuminata, ma privo di riferimenti ai soggetti politici cui rivolgersi per incanalarsi.”.

Tanto fu  ineguagliabile nell’intuito imprenditoriale, nell’individuazione del potenziale dei collaboratori,

nella creazione di valore, tanto fu ingenuo nell’attendersi che le forze politiche facessero proprie le sue idee,

sul piano dei contenuti e dei suggerimenti strategici. Non avendo avuto successo come consigliere del principe, provò a farsi principe in proprio. Ma non era la sua vocazione.

Tra il 1925 e il 1960 il suo percorso intellettuale ed operativo si sviluppò attraverso svolte talora contraddittorie. La più rilevante è stata il passaggio dalla negazione del ruolo dei partiti nazionali alla trasformazione del Movimento Comunità in partito, ma con una differenza sostanziale rispetto ai partiti tradizionali: la non contendibilità della governance,

Idealismo? Utopia?  Fu grazie al successo imprenditoriale  che Adriano Olivetti ebbe gli strumenti finanziari per realizzare il suo progetto di integrazione fabbrica-territorio, centrato sulla valorizzazione della persona ed ispirato ai principi del cristianesimo sociale.

Un progetto tollerato dal management, sino a quando la redditività dell’azienda consentì di destinargli rilevanti risorse; ma indissolubilmente legato alla personalità e al carisma di Adriano. La normalizzazione dell’Olivetti fu repentina, come la crisi del Movimento, i cui quadri confluirono in gran parte nel Partito Repubblicano di Ugo La Malfa, già leader dell’ala più moderna e riformatrice del Partito d’Azione. E fu quasi immediata la diaspora degli intellettuali.

Adriano Olivetti anticipatore geniale di scenari successivi.

Alcune sue analisi si sono rivelate profetiche, rispetto alla realtà della società contemporanea.

Aveva previsto la crisi dei partiti, come strumento di partecipazione, e l’inadeguatezza delle ideologie tradizionali ad interpretare le esigenze di una società in trasformazione.

Aveva evidenziato il superamento del clivage “destra-sinistra”, da sostituire con quello “esclusi-integrati”,

alla base dei populismi emergenti in tutto l’Occidente. Problemi di grande attualità, in Francia con intere aree periferiche islamizzate e l’indebolimento dell’unità repubblicana; in Italia con l’affermazione di un movimento che nega il principio di rappresentanza, la professionalità richiesta per l’esercizio di ruoli di direzione politica ed amministrativa, elegge deputati e senatori forti di qualche decina o centinaio di segnalazione via web e fa parte, nel Parlamento europeo, del gruppo guidato da Farange.

Aveva previsto il rischio di esplosione derivante da una visione urbanistica fondata su anonimi quartieri dormitorio, e su un comunitarismo fonte di emarginazione e di tensioni sociali.

E ben prima di Hélène Carrère d’Encosse aveva previsto il crollo sovietico: “L’URSS è nata sotto il karma negativo della violenza, pertanto un giorno sparirà all’improvviso”.

Per Altiero Spinelli, Adriano Olivetti fu un “pescatore di uomini”. Per Franco Ferrarotti, un “imprenditore di idee”.  Valerio Ochetto si è domandato:” Si può essere imprenditori e rivoluzionari?”. La vita eccezionale di Adriano  Olivetti dice che la risposta è sì.  Ma le sue idee non andarono al potere.

Carlo Benigni ©2016

Qui potete trovare il libro di Carlo

Note

1) Giuseppe Berta, “Le idee al potere”, Edizioni di Comunità, riedizione pag. 53

2) Ibidem, pag. 52

3) Valerio Ochetto, “Adriano Olivetti, biografia”, Edizioni di Comunità, riedizione 2015, pag.80

 

Riferimenti essenziali

Giuseppe Berta, “Le idee al potere”, Edizioni di Comunità, riedizione 2015

Franco Ferrarotti, “Un imprenditore di idee”, Edizioni di Comunità, riedizione 2015

Valerio Ochetto, “Adriano Olivettio, biografia”, Edizioni di Comunità, riedizione 2015

Archivio Fondazione Olivetti