(pubblicato nel contesto di “Art & Culture” N.1 su 60.700.000 come potete verificare clickando qui 14-5-16 CET 5.00)
(la rubrica ” I libri! di Massimo ” è la N.3 su 1.910 siti come vedete qui al 2/7/16 alle 9.00)
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Mi è capitato tra le mani ultimamente un saggio di Daniel Pennac intitolato “Come un romanzo”. L’ho trovato per caso in uno scaffale del libero scambio, la principale fonte, insieme alle biblioteche, da cui provengono le mie letture. Era un’edizione fuori commercio destinata all’iniziativa #ioleggoperché, uno dei tanti tentativi per avvicinare il popolo italiano alla lettura (attività per cui, stando alle statistiche di vendita, non sembra molto portato). Io rappresento un lettore decisamente fuori dalla media, “consumando” circa una cinquantina di libri l’anno (contro un libro o più al mese che leggono i cosiddetti “lettori forti”, ossia circa il 14% dei lettori).
Non è sempre stato così. Da bambino odiavo la lettura, come ho ripetuto fino alla nausea nelle mie opere: era una cosa imposta dalla scuola, e le uniche letture che sceglievo liberamente erano i fumetti, nella fattispecie Topolino e altri albi Disney. Quando avevo tredici anni mi è capitato di leggere un libro che avrebbe avuto una grossa influenza su di me e soprattutto sul mio amore per la lettura. Si trattava ovviamente di una lettura extrascolastica e il titolo era “La storia infinita” di un certo Michael Ende. Quella fu la premessa. Il secondo incontro letterario importante fu con le opere di Stephen King, di cui facevo indigestione durante le vacanze estive a partire dai miei quindici anni. Da allora non ho più smesso di leggere per piacere, oltre che per documentarmi per la mia attività di scrittore, anzi la quantità di libri letti è cresciuta di anno in anno (anche per una maggiore disponibilità di tempo, purtroppo o per fortuna…).
Sarebbe davvero troppo lungo fare qui una storia completa del mio rapporto con i libri: sono centinaia, probabilmente migliaia quelli che ho letto nell’ultimo quarto di secolo. Vorrei però fare alcune considerazioni partendo proprio dal libro di Pennac, uscito nel 1992. Premesso che l’autore francese non mi è mai piaciuto, sia per il suo stile un po’ troppo compiaciuto, sia per il suo atteggiamento da “pedagogo”, tuttavia trovo interessante il suo “decalogo” sui diritti del lettore e mi piacerebbe commentarlo qui sotto punto per punto:
- Il diritto di non leggere.
E già su questo ci sarebbe molto da dire. Sul “diritto all’ignoranza” ho già speso abbastanza parole nel mio racconto-saggio “La nevicata” (in “La nevicata e altri racconti”, PoetiKanten Edizioni, 2015); questo diritto viene sistematicamente calpestato in ambito scolastico, dove leggere (e leggere solo certe cose) è non solo un “obbligo” ma talvolta anche una “punizione”). Non mi stupisce che la maggior parte degli ex studenti (ossia la stragrande maggior parte degli italiani) rifugga la lettura una volta sfuggita alle grinfie dei prof. Ma non è detto che il rifiuto alla lettura derivi solo da pessime esperienze didattiche: uno può non leggere solo perché non ne sente il bisogno (come riconosce anche Pennac) e non c’è niente di male in questo. Non è che una persona che non legge sia necessariamente più stupida o più infelice di qualcuno che legge cento libri all’anno, anzi: se vogliamo dar retta al Leopardi, la conoscenza è spesso causa di infelicità. Su questo ultimo punto sono d’accordo solo in parte: dipende da ciò che si intende per “conoscenza” e soprattutto da cosa si legge e come lo si legge. Pennac dà comunque un’altra interpretazione a questo diritto: lui è un insegnante e il suo intento è di avvicinare gli studenti alla lettura, che piaccia loro o meno (meglio la prima, ma non esclude la seconda), quindi in realtà neanche Pennac riconosce appieno questo diritto.
- Il diritto di saltare le pagine.
Alla faccia dello scrittore che magari ha sudato le classiche sette camice per scrivere certe parti del suo libro e non ha certo piacere di sapere che il lettore le salta. Ma il lettore non è al servizio dello scrittore, e neppure viceversa se per questo. Io ho adorato “Il signore degli anelli” di Tolkien, ma quando arrivavano le paginate dedicate alle scene di battaglia le saltavo a pié pari senza che la trama ne risentisse, perché la guerra mi ha sempre fatto schifo nella realtà ed annoiato nella “fiction”… Un libro è come un buffet: uno prende ciò che vuole.
- Il diritto di non finire il libro.
Confesso di essermi talvolta incaponito a finire un libro che non mi prendeva, e non perché fossi obbligato a leggerlo (da tempo ormai mi scelgo liberamente le mie letture e nessuno mi dà compiti per casa…). Forse sono un po’ masochista, chissà. Ma sono eccezioni. Generalmente un libro che non mi piace lo metto da parte, anche perché da molti anni non compro più libri e non ho più il senso di colpa di non finire un libro che avevo pagato…
- Il diritto di rileggere.
Sono pochissimi i libri che ho riletto (“La storia infinita”, “Il signore degli anelli”, “Il mondo nuovo” di Huxley, i libri di Italo Calvino e di Dino Buzzati), non perché non valga la pena rileggere un libro (a distanza di anni, se il libro è profondo, ci si trovano molte cose che erano sfuggite alla prima lettura) quanto piuttosto perché sono tantissimi i libri che trovo e che mi piacerebbe leggerli per la prima volta, cosicché il tempo dedicato alla rilettura è in qualche modo tempo rubato alla prima lettura. È difficile arrivare a un compromesso…
5. ….
Massimo Acciai Baggiani ©2016