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(pubblicato nel contesto di “Art & Culture” N.1 su 60.700.000
come potete verificare clickando qui 14-5-16 CET 5.00
ed in “Anime di Carta” N.1 su 1.140 siti come potete verificare qui )
( clickando qui leggete l’ episodio N. 10 ) … Bentornati ad un nuovo appuntamento con quello che ormai è per me un piacevole ritorno su questa immensa piattaforma. Sono la mamma di Viola e del suo giardino incantato che avete capito essere il suo cuore e la sua vita.
Preferendo lasciare spazio al racconto non mi dilungherò oltre, ci saranno altre occasioni, per ora buona lettura…
Alzando gli occhi dal foglio Viola iniziò a soppesare le parole lette. Fino a quell’istante sua madre le aveva ricordato sommariamente il corso della sua vita. Un pò aveva riassunto le fasi che l’avevano contraddistinta. Di lei conosceva molto, ma non tutto. Si erano amiche, ma pur sempre madre e figlia. Quindi parte dei suoi trascorsi le erano sconosciuti. Ad esempio le vere ragioni di scelta di uno sport, il decidere di mollare, il motivo per cui si legava ad un individuo, le cantonate che prendeva. Insomma … spesso la sapeva raccontare, ma non era esente dallo sbagliare e dal fare scelte impulsive completamente errate.
Capitava ai tempi della scuola di sbagliare persone con cui condividere un segreto. Capitava anche durante i viaggi che i suoi gesti educati venissero scambiati per faciloneria. Si era ritrovata, in più di un’occasione, a mettere al proprio posto uomini benestanti, convinti di poter chiedere di più dopo una piacevole cena insieme. Forse perché di solito funzionava così, ma spesso voleva avere l’ultima parola in merito senza che fosse un cliché.
Per carattere era una persona sincera e trasparente. Gioiosa e priva di malizia. Nel corso degli anni aveva dovuto imparare a metter su una maschera. A seconda delle persone che incontrava doveva sembrare una dura che sapeva cavarsela da sola. Altre volte accampava la scusa di aver un fidanzato importante per essere lasciata in pace. Essere una donna sola, in certi luoghi, era sconveniente e complicato, in altri attirava malintenzionati. Quindi sceglieva se legarsi a qualcuno del posto.
In Grecia aveva incontrato, nell’isola di Spetze un tipico ragazzo greco di nome Andreas. Faceva il pescatore e amava il mare in maniera così profonda da non sentire nemmeno la fatica del suo lavoro. Con lui aveva visto gli angoli più incantevoli dell’isola e anche le baie limitrofe, aveva imparato quanto erano piacevoli le immersioni in totale assenza di turisti a Vrelos, dove il mare aveva un colore così unico da sembrare pitturato. Aveva vissuto le attese della donna di un pescatore. Dal terrazzo della sua bianca abitazione attendeva comparire la barca, per corrergli incontro al porto felice. Con lui era stata felice.
Anche con Victor a Formentera, o Hector in Messico, poi Sebastian, Denny, Mark… Ognuno di loro le aveva regalato attimi impagabili, l’aveva trattata come una piccola principessa facendola parte del quotidiano. Ma la storia era durata il tempo di qualche mese, a volte anche meno. Poi mano a mano l’interesse scemava, come la novità e i tratti interessanti diventavano trappole per tenerla legata. Si esatto cominciava a sentirsi in trappola, immatura per mandare avanti un rapporto amoroso quando diventava importante. Anche se tra loro erano molto differenti erano tutti bravi ragazzi, dall’aspetto piacevole, con passioni profonde per la loro terra. Di ognuno la attraeva inspiegabilmente il fatto che rappresentasse in pieno il posto che si trovava a vivere. Di ciascuno ne portava un pezzo nel cuore. Forse però non si era mai innamorata. Se il distacco non era stato così doloroso… forse non ci aveva investito troppo.
Questo il punto di cui non si era mai confidata con la madre. Non poteva quindi capire, sapere, aiutarla. Lei la spingeva ad amare, ma in realtà ne era capace? Forse no. O almeno fino ad allora non si era saputa rispondere. Cos’è in definitiva l’amore? La aiutavano a trovare risposte i vari scrittori. “Forse ciò che rende unico l’amore è questo suo inafferrabile morire e rivivere ad ogni istante”. O “l’amore è una forza selvaggia. Quando tentiamo di controllarlo ci distrugge, quando tentiamo di imprigionarlo ci rende schiavi, quando tentiamo di capirlo ci rende smarriti e confusi” L’amore è il caldo abbraccio in cui rifugiarsi? Il dolce profumo di un bacio appassionato? O la gioia negli occhi di chi ti aspetta? Per lei fino ad ora l’amore aveva il sapore effimero della passione. Bruciante, totalizzante, appagante.
Non era come il rapporto tra i suoi genitori. Loro avevano la certezza di essersi innamorati, avevano desiderato formare una famiglia, fatto sacrifici, crescendo lei erano scesi a compromessi.
Terminato il suo lavoro di scoperta nella nuova meta, era pronta a ripartire, senza mai una volta pensare di restare lì per altri motivi. Un mero appagamento personale. Forse era stata troppo egoista. Tutto ciò che aveva fatto era per se stessa, per riempirsi di belle esperienze. Una collezionista. Di foto, paesaggi, posti, emozioni, persone. Senza intenzione. Ecco perché doveva fermarsi. Era stanca. Quasi avesse compiuto una corsa fino a quel momento.
Il filo dei pensieri l’aveva rattristata. La mamma era in pensiero per lei, si poneva domande sul senso del suo vivere e metteva un freno alla libertà che a 18 anni le aveva consegnato. Ora a 28 le diceva fermati, rifletti, sposta l’attenzione su valori più elevati. Come al solito aveva ragione e non per niente faceva la mamma.
Come molti era una brava consigliera. Con gli altri. Le raccontava spesso che da giovane avrebbe voluto intraprendere la carriera di giornalista o antropologa o psicologa. Visto che le idee non erano chiare, aveva scelto di adagiarsi a vivere una realtà diversa. Commerciante di arredi interni. Subito dopo il diploma. Aveva continuato a coltivare i suoi interessi leggendo molto. Le trasmetteva la sicurezza necessaria per essere ugualmente soddisfatta. Una donna che si accontentava, accanto a se attirava le persone che in lei vedevano la risposta ai loro bisogni. Suo padre vedeva la sicurezza. Le amiche il cassetto sigillato dove rinchiudere i segreti. Anche gli sconosciuti che entravano nel suo negozio erano alla ricerca del consiglio per risolvere questo o quel problema. Si trattava del colore adeguato, della proporzione, dell’originalità … di fatto nelle case in cui entravano i suoi consigli (mobili o accessori) c’era un po’ di lei. Aveva iniziato con il materiale ecologico, poi aveva aggiunto quello riciclato, pubblicizzando soprattutto prodotti composti da artigiani locali. Originali. Credeva fermamente nel valorizzare i manufatti a discapito dell’arredamento industriale, in cui la casa doveva uniformarsi alla globalizzazione. La personalizzazione diceva. L’arredamento, la casa deve essere un vestito cucito addosso. “Il posto in cui amiamo è la casa, casa che i nostri piedi possono lasciare, ma non i nostri cuori.” Questo era il motto scritto nel quadro all’entrata, in maniera che fosse chiaro a tutti, si entrava nel regno della casa. Aveva le sue ragioni. Di fatto sua madre non era mai riuscita a realizzare i suoi sogni, si era fermata a crearli, poi li aveva seduti lì su una sedia a dondolo ed era rimasta a guardare. Questo creava tra loro una forte tensione. Viola sapeva del talento sprecato. Si arrabbiava, ma nulla poteva contro le paure e motivazioni che l’avevano spinta a fermarsi ed accontentarsi. Nei loro battibecchi spesso si imbattevano in questa brutta parola. Accontentarsi. Voleva già in se dire che non era abbastanza. Era sempre un bloccare la consapevolezza. Però non c’erano ragioni. Da che ricordava, per i suoi genitori il tram tram che teneva in piedi la loro vita era dato da quella sveglia a tirarli in piedi per iniziare la giornata. Lei andava in negozio, lui a pescare. Lei manteneva il suo giro di clienti soliti ed inaspettati, lui andava speranzoso e ogni tanto tornava deluso.
Nadia Banaudi ©2016