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(pubblicato nel contesto di “Art & Culture” N.1 su 60.700.000

come potete verificare clickando qui 14-5-16 CET 5.00

ed in “Anime di Carta”  N.1 su 1.220 siti come  potete verificare qui )

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(…qui leggete il 15. episodio …)

Bentornati ad una nuova puntata di questa rubrica.
Chi mi segue e legge scoprendo affinità con questo personaggio, ormai ha capito in pieno che titolo dell’opera e della rubrica sono parte della mia anima. In qualità di autrice di entrambe mi sento chiamata in causa per i suoi successi ed insuccessi. La visibilità riscontrata sin qui mi porta ad illuminare di un grande sorriso, quindi vi lascio subito in compagnia de “Il giardino Viola” ringraziandovi …

La giornata iniziata con il sole era stata un crescendo di bel tempo. Viola e Mattia avevano deciso di muoversi alla scoperta dei dintorni scendendo al fiume. Ricordavano bene l’acqua gelata, i laghetti naturali che formava, ed erano curiosi di vedere se fosse cambiato. Lo spettacolo che si presentò davanti non era il solito, forse per l’emozione di tornare, ma quella vista era davvero mozzafiato. Incantevole. Oltre la cortina di alberi che proteggeva dalla strada, scorreva felice il fiumiciattolo. Come se fosse in ritardo per chissà quale appuntamento. Eppure non c’era più la ruota del mulino ad attenderlo. Scorreva per il solo pendere dell’alveo. Per il gusto di farlo, per la sua natura. Attorno enormi massi lo trattenevano dal perdersi, arginandolo ed offrivano ottimi punti d’osservazione. Parevano due indigeni che vedono per la prima volta la civiltà. Ma al contrario. Lo spettacolo della natura colpiva entrambi con un tuffo al cuore.
All’unisono si sorpresero a dire < Che bello! >
Trascorsero un’ora abbracciati sulla grande pietra dove, da ragazzi, prendevano il sole. Raccontandosi delle esperienze passate. Dei successi di entrambi. Viola ascoltava rapita il mondo che Mattia aveva fatto suo. Un mondo di parole ed emozioni trasformate in musica. Con la sua armonica a bocca ogni tanto le intonava qualche pezzo. Non c’era mai da annoiarsi. Rilassata tra le sue braccia si scioglievano le riserve. Era molto simile alla felicità l’emozione che le turbinava dentro.
Il fiume purtroppo non era un posto caldo, il sole da lì a un po’ si sarebbe trasferito oltre la montagna. Decisero per una bella passeggiata. La strada carrozzabile faceva un lungo giro ad anello e tornava al paese. In tutto quel silenzio solo le loro voci risuonavano. Così improvvisarono il gioco dell’eco. Ognuno di loro urlava qualcosa e l’altro ci si agganciava fino a creare una catena di sensi. Iniziò Mattia che aveva avuto l’idea.
<Evviva!>
< Finalmente!>
< Finalmente cosa?>
< Son tornata !>
< Per restare?>
< Forse sì.>
< Come forse?>
< Sì.>
< Evviva!>
< Ti amo!>
Silenzio. Non che le fosse inusuale la parola. Spesso glielo avevano detto. Spesso anche lei lo aveva fatto sprecandolo un po’. Solo che ora, aveva un valore forte. Urlato alle montagne. Voleva dire tirarlo fuori da dentro. Non poteva mentire. Mattia aspettava.
< Tu sei matto >
< Io ti amo >
La incalzava e lei doveva prendere tempo, doveva sentirlo davvero. Era ancora confusa, una parte di lei non aveva assorbito l’urto.
< Io scappo. >
Ed iniziò a correre per la discesa a braccia aperte ridendo forte. Fu subito raggiunta e superata. Erano aerei che sbandavano e si incrociavano. Poi con il fiatone come fosse terminata la benzina ripresero respiro appoggiati al muretto filo strada. Ridevano a singhiozzi come bambini appena combinata la marachella. Spensierati e felici. Liberi e soli. Si ripresero per mano e conclusero il ritorno a casa affrontando mille argomenti.
< Sai che ho una fame incredibile? >
< E cosa mangeresti volentieri oggi?>
< Un bel risotto ai funghi … ti ho preso in contropiede eh?Ieri ho sbirciato in dispensa, quando sono andato a prendere la legna, e so che c’è un bel raccolto di porcini secchi. Che ne dici?>
Bottino delle escursioni estive di papà, pensò Viola e di certo non erano solo porcini. Era solito raccogliere e seccare anche le gallette e le finferle per ottenere così un variopinto misto di funghi. Mentre i primi erano di un inconfondibile color bruno, gli altri gialli intensi ed arancio vivido. Il successo dei piatti cucinati era dovuto anche alla cromia particolare che sviluppavano.Appena arrivarono a casa si suddivisero i compiti. Mattia aveva l’onere dell’antipasto mentre Viola avrebbe preparato il risotto più buono del mondo, ma nessuno doveva collaborare con l’altro sarebbe stata una sorpresa. Una musica ritmata della radio rallegrava l’ambiente mentre in due stanze diverse si divertivano a stupirsi a vicenda. La cuoca di certo era Viola, ma mai dire mai. In cucina come in altri campi vince chi ci mette il cuore. Non avendo troppi ingredienti freschi ripiegò sulle tecniche imparate dalla mamma. I gusti erano stati seccati in estate e frullati con il sale per ogni evenienza: salvia, rosmarino pronti nel barattolo. Sarebbero stati il prezzemolo alternativo di base per il risotto. Mentre il mix di funghi rinveniva nell’acqua tiepida, iniziò a soffriggere l’aglio in camicia e il trito di erbe aromatiche. Già se ne sentiva il profumo piacevole. In velocità mise su il brodo. Peccato solo che mancasse proprio il riso. Ecco guardarci prima? Nella cassapanca curiosando bene aveva trovato orzo e farro…manie alternative della mamma. I tempi di cottura erano i medesimi per entrambi, un po’ più lunghi del riso, ma ragionevoli.
In men che non si dica nella pentola rosolavano il composto di erbe non idonee, il misto di funghi insoliti per tipologia e colori, ed il riso non riso che aveva scovato. Altro problema, il vino … se lo erano bevuto la sera prima. Che disastro! O forse no. Nella credenza papà teneva sempre bottiglie di liquore per il bicchiere della staffa con gli ospiti. Chissà? Insomma arrangiandosi un po’ di brandy era servito a sfumare il risultato finale. Una cospicua presa di funghi secchi grattugiati per insaporire direttamente sul piatto ed un filo d’olio finivano il tutto. Ora c’era da sperare che fosse commestibile.

 

Nadia Banaudi ©2016