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Fino dalle prime volte che leggevo Emily Dickinson mi è capitato un qualcosa di particolare, mai successo con nessuna altra lettura di nessun tipo. Una sorta di incanto, di astrazione totale, come se mi sentissi preso e trasportato in un altro mondo; un mondo dove tutto è diverso ma non stravolto, diverso per dettagli, per rifinitura, completezza, simmetria, inviolabilità. La poesia di Emily Dickinson “dialoga” con la perfezione tendendo sempre verso di essa e spesso ne è identica nei toni e nei colori, nei fiori del suo giardino, nei cieli primaverili del Massachusetts, nei mille viaggi nel Tempo e nello Spazio, nei sentimenti tanto forti quanto delicati, nella sua intrinseca classicità. Classicità nell’accezione più nobile, modernissima e classica nello stesso tempo, come i poeti che lei amava tanto: Sofocle, Dante, Shakespeare (basta mi fermo qui perché più classici di loro…), come tutti gli artisti che potrebbero essere vissuti in ogni epoca, quei poeti che “vivono da sempre e per sempre vivranno” come canta in una sua poesia. Perché Emily Dickinson metaforicamente canta accompagnata dalla lira, riesce con la parola scritta a dare la sublime astrazione che dà la musica, proprio come i primissimi poeti, come Orfeo il “mitico” (non a caso) inventore della Poesia e della Musica, come i Lirici (Archiloco, Saffo, Alceo, ecc., anche Pindaro). Lirici appunto perché accompagnavano realmente le parole con il suono della lira e lirica è diventato sinonimo di poesia, forse correttamente si dovrebbe dire Poesia per l’insieme e lirica per il singolo componimento, ma sono sottigliezze…
Emily Dickinson nasce nel 1930 e scrive le sue poesie nel primo quarto del secondo Ottocento, per intenderci è coetanea e contemporanea di Giosuè Carducci che né io né nessun altro definiremmo mai moderno, e che per inciso a me non dispiace e forse fra i “poeti ufficiali” dell’Ottocento italiano è quello che preferisco. La differenza sta nelle due letterature, una di antica tradizione che da secoli riproduceva lo stile perfetto di Francesco Petrarca secondo la lezione di Pietro Bembo e l’altra di un mondo nuovo. Emily Dickinson invece dalla tradizione prende quell’essenza immortale senza doverne seguire i cliché, la differenza è abissale, ma sono sottigliezze…
Non divago più e propongo soltanto i suoi versi per fare cantare dalle sue parole quella sensazione che provo ogni volta che leggo Emily Dickinson e le sue parole saranno sicuramente più efficaci di qualsiasi che potrei scrivere io. E li introduco citando alcune righe che Natalia Ginsburg scrive dopo essere stata casualmente in visita ad Amherst, il paese di nascita e di tutta la vita di Emily Dickinson. Natalia Ginsburg che non amò d’impeto, come invece è accaduto a me, il Poeta del New England, ma che con il tempo ne incominciò ad apprezzare la poetica fino a scrivere appunto:
“…la vita della Dickinson: una vita simile a quella di tante zitelle che invecchiano nei villaggi, con i fiori, il cane, la posta, la farmacia, il cimitero. Solo che lei era un genio. Di zitelle che passano la vita a scrivere nei borghi di campagna, in solitudine, con manie e stravaganze, ce ne sono infinite, e nessuna è un grande poeta; e lei lo era. Lo sapeva? Non lo sapeva? Scrisse migliaia di poesie e non volle mai stamparle. Le cuciva con il filo bianco in fascicoletti. “Questa è la mia lettera al mondo che non scrisse mai a me”. Era difficile che il mondo potesse scriverle, dato che lei era, e voleva essere, immersa nell’oscurità di una casa. Ma certo il mondo non le scrisse mai, in nessuna forma, perché, finché fu viva non le diede niente. E del resto la sua lettera al mondo non chiedeva risposta…”
I versi sparsi (le poesie di Emily Dickinson non hanno titoli) che propongo da qui in avanti sono tratti dalla traduzione di Massimo Bacigalupo; la prima la metto anche in Inglese, proprio per rendere l’idea del senso della musicalità che qualsiasi traduzione non può traslare in un’altra lingua, tradurre in fondo è tradire un testo, almeno in parte:
“…Alone – if Angels are alone –
First time they try the sky!
Alone . if those vailed faces – be –
We cannot count – on High!
I’d give – to live that hour – again –
The purple – in my Vein –
But He must count the drops – him self –
My price for every stain!”
L’armonia dei versi di Emily Dickinson è unica, direi piena; senza metrica eppure è musica, la musica della prima volta di una sensazione, beh ecco la traduzione:
“Soli – se gli Angeli sono soli –
la prima volta che provano il cielo!
soli – se sono soli quei visi velati –
che noi non possiamo contare – in alto!
Darci – per rivivere quell’ora –
la porpora -nelle mie vene –
ma lui stesso deve contare le gocce –
il mio prezzo per ogni macchia!””
E poi altre sensazioni, altre emozioni sempre da sperimentare nello Spazio della vita:
“La vita è solo vita! E la morte, solo morte!
Felicità solo felicità, fiato solo fiato!
E se davvero fallisco,
almeno, conoscere il peggio è dolce!
La sconfitta non è altro che una sconfitta,
nulla di più tetro può avvenire!
E se vinco! Oh cannone in mezzo al mare!
oh campanile sulle torri!
Dapprima, ripetilo piano!
Poiché il cielo è cosa diversa,
congetturata, e improvvisamente sperimentato –
potrebbe estinguermi!”
I punti esclamativi scandiscono a martello le affermazioni, sono testo essi stessi, sono possibilità sulla tavolozza dei colori a cui attingere per il testo scritto come per un dipinto o uno spartito:
“Non vorrei dipingere – un quadro –
piuttosto essere quello
che indugia sulla sua deliziosa
luminosa impossibilità –
e si chiede cosa provano le dita
il cui raro – celestiale – movimento –
evoca un così dolce tormento –
una così suntuosa – disperazione -“
L’arte, l’artista e l’opera d’arte: Emily Dickinson vorrebbe essere un quadro, una poesia (forse una sua poesia) per comprendere la gioia e la fatica, le sensazioni e le emozioni provate dall’autore. Perché l’arte dopotutto è misteriosa; si guarda, si ascolta, si legge un’opera, ma l’arte scaturisce da un’interiorità:
“Che mistero pervade un pozzo!
L’acqua vive così lontana –
come una vicina di un altro mondo
che risiede in una ciotola
il cui limite nessuno lo ha visto,
solo il coperchio di vetro –
come guardare ogni volta che vuoi
in faccia a un abisso!”
Personalmente credo che con questi otto versi siamo nel riservatissimo club delle cose più belle mai scritte dall’umanità… trovate il senso della metafora, perché questa metafora ha tante possibili letture, direi infinite, ecco la modernità di questo poeta… a me parrebbe che la ciotola possa essere Emily stessa, l’acqua la vita e il coperchio la lente attraverso la quale guardiamo il mondo, e l’abisso? Inequivocabilmente ognuno quell’abisso lo cerchi dentro se stesso…
“Buongiorno – mezzanotte –
vengo a casa –
il giorno – si è stancato di me –
io come avrei potuto – di lui?
La luce del sole era un bel posto –
mi piaceva restare –
ma la mattina – non mi voleva –
perciò – buonanotte – giorno!
Posso guardare – vero –
quando l’oriente è rosso?
Le colline – hanno un modo – allora –
che fa traboccare – il cuore –
mezzanotte – non sei così bella-
avevo scelto – il giorno –
ma – prendi una ragazzina –
che lui ha mandato via!”
Forse da questa lettura, io adolescente ho incominciato a nutrire una profonda passione per le albe e i tramonti, ne ho scritto parecchio: ma cosa l’ho fatto a fare se Emily Dickinson aveva già scritto queste parole? Invece qualche anno fa ho voluto scrivere una poesia su/per Emily Dickinson e anche in quell’occasione l’ho scritta limitandomi a legare fra di loro versi suoi, quelli in corsivo. Il senso di riverenza che provo per Emily Dickinson e per le sue poesie non lo provo per nessun uomo vivente o morto, per nessuna entità, per nulla al mondo:
COME NEL MONDO PERFETTO DI EMILY DICKINSON
Se in una notte folle si potesse portare
la nostra parte di notte la nostra parte di aurora
riempire il nostro Spazio di felicità
il nostro Spazio di risentimento…
…allora non servirebbe più il Tempo di aspettare gli uccelli a primavera
se l’unico amico dei giorni
non fosse l’invisibile straccio
che alcuni chiamano l’identità
non ci interesserebbe guadagnare il paradiso
(comunque non ci interessa poi molto)
se le infinite lampade accese dai tanti poeti
s’infuocheranno dal piacere prezioso di un libro antico
rivivrà Saffo e Sofocle e Dante e Beatrice e
…Emily Dickinson
Ma se nessuno varcherà le frontiere fantastiche del tuo mondo
come potrà declamarti il suono più bello più forte della tua lingua
I LOVE YOU
?!?!?!?!?!?!?!?!?!?!?!?!?!?!!?!?!?!?
Renato Barletti ©2016
Potete seguire Renato ogni sabato in “Suggestioni e percorsi poetici”