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Sette o otto fa mi sono immaginato il monologo di una persona, più una donna che un uomo, che aveva vissuto lontano per parecchi anni ed era appena tornata in Italia. Ho provato a immaginare come potesse trovarla e per fortuna non era un tipo scontato di quelli: “non è più come prima”, “una volta era meglio”, “è proprio cambiato tutto”, “si sono persi i valori”. Per fortuna perché di inni ai bei tempi andati se ne sentono continuamente, ovunque, da tutte le parti. Immaginare non costa niente, già…
A me non piace particolarmente scrivere di fatti o di società o di “politica” ed infatti non lo faccio mai. Ma un artista è soprattutto occhi che guardano intorno alla ricerca di emozioni da esprimere; occhi che vedono realtà sotto aspetti che raramente vengono colti; occhi che deformano quelle realtà raccontandole secondo una propria lettura; occhi che hanno ed offrono visioni. Occhi però propri, personali, attivi, che devono guardare e guardare la realtà significa vederla dal vivo nei suoi vari aspetti, non in videoclip montati da qualche agenzia pubblicitaria o da team di esperti in comunicazione. Sono tutte belle le realtà del mondo in quei videoclip! Questa persona (non ha nome, ovvio, è un monologo e nessuno la chiama) ritorna, guarda, prova sensazioni e parla fra sé e sé.
Il monologo è un genere antico che nasce principalmente in ambito retorico (discorsi, arringhe, panegirici), ma che nella letteratura moderna si è evoluto in racconto di uno ad un uditorio. Questo monologo era stato pensato per una sua rappresentazione teatrale, mai realizzata, senza nessun riporto a nomi, episodi, situazioni specifiche. L’intento era di raccontare la visione senza nessun Tizio o Caio nominato o men che meno protagonista, positivo o negativo che potesse essere. Ho provato a costruirlo in maniera quanto più possibile discorsiva con due momenti in cui la prosa si trasforma, non in verso, ma si stira; ecco immaginate che qui l’attore smetta di raccontare, le luci si attenuino e al centro dell’occhio di bue incominci a declamare prendendo un ritmo. Questo è il primo dei due momenti:
Mi sono appena svegliato… straniato… stranito
sono appena tornato ma ho voglia di scappare lontano
lontano da questo starnazzare vociare blablaterare
per urlarsi sui denti più forte urlare per non dire niente
lontano da merde di cane e pile come totem di monnezza
necrotumuli urbani contemporanei puzzosi disseminati
lungo gli antichi selciati di splendide fiere turrite città
artistiche mediche giuriste teologali madri culle di civiltà
Sono appena tornato ma mi sento inseguito accerchiato
da quei soliti volti ingialliti ingrassati di quando ero andato
ci son quasi tutti qualcuno invecchiato qualche altro rifatto
ma sotto la pelle stirata e la parrucca riportata appoggiata
pavoneggiano gioielli lussurie leggi improperi sentenze cazzate
da sopra le altezze di zeppe rivestite di pelo di ratto di fogna
palesando misere potenze su impotenti come ruffiani impenitenti
ma dentro le giacche alla moda gessate farcite incravattate
manifestano quel rigurgito di trito soffritto bruciacchiato cantilenato
sbandierato a memoria da pulpiti palcoscenici poltrone e bordelli
Mi sono svegliato raffreddato sferzato infreddolito toccato
dall’aria che picchia che soffia su piazze vetrine strade e palazzi
un’aria che non porta lontano ma rincula ritorce e restaura
re e signori e padroni e padri e padrini e rampolli e cavalieri
sui loro seggi scranni troni dominazioni mandamenti territori
un’aria che divide e rilega mattone su mattone e innalza i muri
ovunque muri tra la gente e le case e sulle spiagge i tornelli
e nei cessi barriere e nelle scuole soltanto gli ultimi banchi.
Sono appena tornato e non capisco ci provo e non comprendo
i sensi di concetti etimologicamente stravolti rifatti inventati
appiccicati sulle prime pagine sulle lingue sui cervelletti
dal grande vecchio imbonitore massmediatico collettivo
che dice “le signore” non le donne così non sono donne
ma cose da controllare dominare al massimo comprare
che bacia le mani a onorati uomini onorevoli farabutti corrotti
che sputa sulla faccia o sul ricordo di martoriati eroi senza paura
di vivere o morire senza nessuna scorta benedizione o protezione
che si ammanta di autocratica autoreferenziata autociviltà
neocolonizzatore della stessa sua terra abbandonata a se stessa
violentata polluttionata cementata rifiutata radiottivata
difensore catenacciaro del teatro dei propri stupri dei propri scempi
difensore d’ufficio di vincenti scommettitori di corse clandestine
sbandieratore di memorie di vecchie battaglie contro crucchi imperatori
caporale di giornata dei reietti schiavizzati nei campi nei mercati
extracomunitari (che significa? negri poveri barbari migranti?
tu dici nooo! non appartenenti alla comunità/europea ovvio!)
ah allora ho capito americani svizzeri nigeriani norvegesi… tutti…
ma chi vuoi prendere per il culo mortodifame arricchito?!?!?
Sono appena tornato ma mi sa che riparto o mi rinchiudo
oppure potrei aspettare in silenzio il prossimo catodico messia
che conceda una nuova luce a quest’altro quartierino
che sdogani qualche altra porcata qualche altro vizietto
che srotoli i fasci delle verghe rilegati da troppo tempo
che impacchetti per bene i fogli sgualciti della mia libertà
e li spedisca di notte in un lontano gulag dei famosi
ricevuta di ritorno dall’inferno di trecentomila fucili
da una buona percentuale di voti da sessanta milioni
comandati a bacchetta da voci ormai fioche sclerotiche
perpetuatesi senza mai invecchiare ripercosse
tramandatesi nel loro senso analfabeta della lingua
idiosincratico insulto all’UOMO che vede e pensa
all’UOMO che ricorda e conosce il senso delle parole
dietro al senso posticcio ignorantizzato omologato
all’UOMO che non riesce nemmeno a sintonizzarsi
sul canale unificato santificato sodomizzato
del prossimo imperdibile tradeunion nazionalpopolare
canzonettaro o pallonaro gossipparo scandalistico
all’UOMO che spegne il canale e divelle le antenne
e le ritorce come lance sulle punte delle quali impalare
tutte le stronzate pronunciate fatte e benedette
nel girarrosto mediatico/politico/sistemico/giureconsulto
quell’UOMO a cui rimane la parola per martellare
la lenta agonia delle statue di cera congelate
e sul ritmo della lingua le mani per battere il tempo
per scaldare i divani/platea di vagoni di uomini e donne
rapinati rapiti deportati nel senso assurdo del vuoto
e per scogliere l’imperfetto equilibrio preponderante
delle statue di cera del museo degli orrori
di Madama Italia
E poi riprende il racconto discorsivo di una persona che guarda il mondo che lo circonda e si guarda allo specchio del bagno di un albergo in una qualche città italiana. E il monologo continua, sensa nessuna morale, senza nessuna soluzione, senza nessuna particolare posizione da difendere o attaccare, senza nessuno da ossequiare, senza nessun picicone a cui facilemente tirare. Semplicemente continuando a guardare, a guardarsi, a raccontare…
P.S.: magari un giorno lo porterò in scena…
Renato Barletti ©2017
Potete seguire Renato ogni sabato in “Suggestioni e percorsi poetici”