(ripubblichiamo in 1 sola volta quanto pubblicato in 2 puntate il 4 ed 11 marzo dato che ancora di strema attualità)
(pubblicata nel contesto di Posivite,sustainable economy. Our dedicated section is N.1 on 10.0200.000 entires as you can verify here, 15-7-16 CET 5.00
nel contesto di “Art & Culture” N.1 su 60.700.000 come potete verificare clickando qui 14-5-16 CET 5.00
ed in Prospettive by Carlo Benigni N1. su 171.000 siti come verificabile qui, 29-7-16 alle 14.00 CET)
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“Sono il prodotto del sistema meritocratico francese“: così si presenta Emmanuel Macron, possibile/ probabile prossimo presidente della Repubblica. 39 anni, diploma presso l’ENA, collaboratore a Londra di David Rothschild, consigliere del presidente Hollande, vice-segretario generale all’Eliseo, ministro delle finanze, a buon titolo afferma di aver imparato diversi mestieri e che tutti i politici dovrebbero averne almeno uno.
Le premesse di valore.
La sua piattaforma è presentata nel libro “Révolution”. Alla base vi è la consapevolezza della storia e della grandezza della Francia come nazione portatrice di valori universali. “Noi abbiamo sempre pensato il mondo”, anche grazie alla lingua, che “riassume la nostra storia: chi impara il francese e poi lo parla, diventa un francese”. Al sovranismo di Marine Le Pen, che propone l’uscita dalla Nato e dall’ Unione Europea, in una prospettiva di protezionismo economico, contrappone la visione di un’Europa federale e di mercati aperti, evidenziando le sicura crisi delle singole economie dei 27 Paesi della UE, se questa e l’euro venissero meno. Essere progressisti oggi significa essere consapevoli che il rapporto della Francia con il mondo non sta nell’isolamento.
A suo giudizio la politica, in Francia come negli USA e in Gran Bretagna, non ha compreso i cambiamenti avvenuti nel corpo sociale, che non si riconosceva più nelle ideologie tradizionali. Le élites dirigenti (classe politica, burocrazia) si sono mosse (o meglio, sono rimaste immobili) in una logica di autoconservazione, senza dare risposte strutturali ai problemi veri, dall’impoverimento del ceto operaio e medio alla sicurezza. I cittadini, afferma Macron, hanno l’impressione che il governo non governi più, e sono tentati da risposte antisistema. Occorre innovare, ma attenzione, dice Macron: l’innovazione non è un progresso in sé; innovare per innovare è come camminare senza meta.
Prima ancora che nel programma, la forza di “En marche” sta nelle premesse di valore. La prima riguarda il ruolo della politica: “non deve promettere la felicità. Non spetta ad essa di dare un senso alla vita“. Richiamandosi alla storia della nazione, Macron propone un obiettivo ambizioso: “volere la Francia”, e non a caso si richiama alle figure del generale De Gaulle e di Pierre Mendès-France.
Macron dimostra come il nuovo “clivage” non sia tra destra e sinistra. “Non mi rassegno ad essere costretto entro confini anacronistici. Si è voluto fare una caricatura della mia volontà di superare la contrapposizione tra la sinistra e la destra; a sinistra denunciando un tradimento in senso liberale, a destra presentandomi come un infiltrato della sinistra. Ma che cosa vi è di comune tra una sinistra conservatrice che difende lo status quo, propone la chiusura delle frontiere e l’uscita dall’euro, e una sinistra socialdemocratica, riformista, europea?”. “La classe politica e mediatica costituisce un popolo di sonnambuli che non vuole vedere ciò che sale”.
Il programma.
Per Macron l’azione di governo deve iscriversi nella durata dei cinque anni del mandato presidenziale, e anche nella prospettiva dei dieci anni, per riforme di carattere strutturale. Una volta stabilita la linea e gli obiettivi, sono da escludere modifiche in corso d’opera, che l’esperienza recente dimostra essere destabilizzanti, in particolare in campo fiscale.
Iniziato alla politica da Michel Rocard, già primo ministro di François Mitterrand e teorico di un socialismo antidogmatico e riformista, in tema di Europa Macron è un convinto federalista, in linea con il pensiero economico e politico di Jacques Attali e Alain Minc, con i quali da sempre intrattiene un rapporto di vicinanza intellettuale. Possiede una perfetta conoscenza dell’apparato amministrativo, delle regole della politica e dell’economia, delle relazioni internazionali.
Partendo dal dato della disoccupazione e della futura insostenibilità, nel medio-lungo termine, dei costi dell’attuale welfare, Macron ritiene che la risposta giusta non si trovi in una politica di austerità in controtendenza rispetto a quelle di espansione adottate con successo negli Stati Uniti. Il suo programma economico, pur non prevedendo tagli alle pensioni, propone tagli nella spesa pubblica per 60 miliardi di euro e un efficientamento della pubblica amministrazione; in parallelo, un piano di investimenti di 50 miliardi di euro, da investire innanzitutto nelle aziende, per favorire l’imprenditorialità (15 miliardi per la formazione, 15 per l’introduzione di nuove fonti di energia, 5 per la sanità, 5 per l’agricoltura, 5 per la digitalizzazione della funzione pubblica, 5 per i trasporti e le infrastrutture collettive).
Macron esclude un reddito di cittadinanza da garantire a tutti, sia per mancanza di risorse sia perché scoraggerebbe la ricerca della realizzazione di ciascuno come imprenditore di se stesso; ma propone un aiuto a quanti si ritrovino privi di lavoro, sino a quando siano reinseriti, affiancati dalle istituzioni nazionali e locali. Un’ipotesi di lavoro analoga a quella anticipata per l’Italia da Matteo Renzi.
Maggiori investimenti sono previsti per la forze di sicurezza, recuperando la polizia di prossimità nei quartieri più insicuri. No al modello fallito del comunitarismo, che ha creato ghetti e non ha realizzato l’integrazione degli immigrati, anche di seconda generazione; nessun pregiudizio razziale, ma assoluta intransigenza nella difesa della legalità.
La premessa di metodo, rispetto ai singoli contenuti programmatici, è il superamento dell’accentramento dei processi decisionali, introdotto da Napoleone e rimasto una costante sino ad oggi. Macron intende introdurre il principio della sussidiarietà, responsabilizzando le amministrazioni locali, alle quali delegare poteri di decisione, nel rispetto del perimetro delle politiche nazionali.
In un’intervista al quotidiano finanziario “Les Echos” del 24 febbraio, Macron ha affermato, con estrema chiarezza: “Il comportamento abituale in una campagna presidenziale francese è di dire: “Rovescerò il tavolo e darò un nuovo indirizzo alla coppia franco-tedesca”. Questo non porta da nessuna parte e non ha mai funzionato. Occorre ristabilire fiducia reciproca. E’ meglio un dialogo franco ed esigente rispetto ad atteggiamenti velleitari. Ne siamo corresponsabili; se non abbiamo una politica coraggiosa di riforme sul piano strutturale, i tedeschi non ci seguiranno”. A suo giudizio ” l’impegno per l’Europa è tra i più essenziali per il prossimo presidente. E’ la condizione per la nostra sovranità”.
Le prospettive elettorali
Tutti i sondaggi prevedono che il confronto finale sarà tra Marine Le Pen e Emmanuel Macron. La leader della destra sarebbe in vantaggio al primo turno e perdente al secondo. A favore di Macron giocano più fattori: la scelta identitaria del Partito Socialista, con Benoit Hamon al 15% e una sinistra frammentata (prevedibilmente, molti elettori socialisti, delusi per la sconfitta di Walls, voteranno per il leader di En Marche); lo scandalo di François Fillon, per i finanziamenti pubblici destinati alla sua famiglia per rapporti di collaborazione professionale inesistenti. Determinante l’appoggio del leader centrista François Bayrou, accreditato dai sondaggi di un 5% che può fare la differenza. Soprattutto, Macron potrebbe giovarsi della dinamica dell’unità repubblicana, come avvenne nel 2002 in occasione del ballottaggio tra Jacques Chirac e Jean-Marie Le Pen. Chirac ottenne l’80% dei voti, pur essendo arrivato al primo turno solo al 20%.
A vantaggio di Macron sono la novità della sua offerta politica e l’efficacia della sua comunicazione, con la segmentazione dei target raggiungibili sul web, ai quali indirizzare messaggi sempre più personalizzati; a suo svantaggio, la scarsa organizzazione sul territorio, su cui possono contare le forze politiche tradizionali.
Segnali importanti sono gli incontri con Teresa May, primo ministro inglese, e quello in programma con Angela Merkel.
“Révolution” si conclude con una convinta dichiarazione di fiducia in una “Francia libera e fiera di ciò che é, della sua storia, della sua cultura, dei suoi paesaggi”.
Sicuro è che dal risultato delle elezioni presidenziali in Francia dipendono i destini dell’Europa.
Carlo Benigni ©2017