(internet translation friendly) Le teste di Bertold Brecht e la commedia antica (2/2)

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...( clickando qui potete leggere la prima parte…)

Ieri sera ho assistito a uno spettacolo: “Ricco e ricco van d’accordo” studio su “Teste tonde e teste a punta” di Bertold Brecht, dove recitavano diversi miei amici. L’ironia laconica, parossistica e a tratti farsesca di Brecht mi ha ispirato la continuazione del discorso su classicismo e modernità dal lato della commedia. Lo spettacolo era molto ben interpretato ed aveva un’ottima regia; ovvio, altrimenti non avrebbe stimolato nessun pensiero, nessuna riflessione, perché il teatro non è un testo, ma l’interpretazione di un testo e soprattutto la rappresentazione di una “visione”. Ma questi non sono articoli di critica, né letteraria né teatrale… sono semplicemente divagazioni artistiche e la divagazione è subito giunta alla commedia antica, ad Aristofane le cui opere sono intrise di ironia laconica e parossistica e di spirito farsesco tendente al ridicolo. Aristofane è il classico che più classico non si può, è il padre di un genere, l’unico autore del quale sono pervenute le opere, quelle degli altri padri Cratilo ed Eupolo no. La commedia antica si radica nella polis, è pertanto innanzitutto “politica”, politica nel senso stretto del termine raccontando, analizzando e mettendo in ridicolo la vita dei “cittadini” che hanno la possibilità di incidere sulla vita della società nella quale vivono. Fra sogno e disincanto come ogni attività umana. Dal IV secolo a.c. la polis, la società, il mondo cambiano e l’individuo sarà sempre meno “cittadino” e sempre più “suddito” perdendo via via ogni possibilità di incidere. La commedia di mezzo e la commedia nuova seguiranno questo iter spostando il fuoco dell’interesse dall’universo all’individuo. Beh, ma che c’entra Brecht con tutto ciò? c’entra c’entra perché innanzitutto Brecht è un classico e poco importa se sia morto da solo sessanta anni e poi perché è un autore “politico”. I tempi cambiano, le società sono differenti, gli scenari si succedono o si sovrappongono, anche le tematiche sono o possono apparire diverse. Un autore si può considerare classico quando “tende all’universale” e politico quando pone lo sguardo su  tematiche d’insieme. Ricordo una lunga, sterile, noiosa e inutile “litigata” all’università durante un seminario su Brecht intorno alla questione: “Brecht è un compagno o no?”. Lasciamo perdere che è meglio, era un’altra epoca dove il cliché si era impossessato dell’essenza svilendo il concetto stesso di politica, ma tutto questo non è politica, è solo pochezza. Brecht è autore politico come lo era Aristofane, ed è classico come Aristofane. Esiste la politica fino a quando c’è libertà di pensiero e di azione e l’arte può esistere solo con la libertà di pensiero e di azione. La democrazia ateniese era la massima espressione della libertà e della possibilità di incidere nella vita che mai prima di allora si era vista, seppur con mille possibili difetti, storture, degenerazioni. Aristofane, e la commedia in generale, rilevano quegli aspetti negativi con l’intenzione di indicare una possibile soluzione e il lieto fine, di solito un banchetto collettivo nell’ultima scena, sembra spesso essere possibile. Ne “Gli uccelli” e ne “Le nuvole” la vicenda si svolge come fosse una ripresa dall’alto, e dalle cime degli alberi o su in cielo si vede bene, forse con quel distacco opportuno, ciò che avviene nelle nostre vite. Brecht in “Esilio” scrive:

Segavano i rami sui quali erano seduti.
E si scambiavano in gran voce le loro esperienze
di come segare più in fretta,
e precipitarono
con uno schianto,
e quelli che li videro scossero la testa segando
e continuarono segare

Non c’è più la libertà, non c’è più la possibilità di incidere su nulla, rimane una sterile guerra individuo contro individuo. Non ci sono più i rami o le nuvole per poter guardare meglio il nostro mondo, scovarne i problemi e provare a risolverli. Brecht ha un disincanto dovuto ai tempi, è esule in fuga dalla Germania nazista avendo ben presente che sarebbe andata peggio, che un disastro stava incombendo sul mondo. Con questo spirito scrive nei primi anni di esilio “Teste tonde e teste a punta ovvero ricco e ricco vanno d’accordo”, nello scenario di un luogo indefinito e in un’epoca indefinita. I tempi cambiano, le società mutano e soprattutto la cultura si arricchisce via via di nuovi punti di vista, di diverse possibilità di analisi. Brecht ha una Weltanshauung socialista con forte, soprattutto in età giovanile, influenza marxiana, questa opera propone chiaramente una visione marcata dal materialismo storico. Personalmente sono sempre stato poco in sintonia con Marx e la maggior parte delle sue teorie, ma, anche oggi che non è più di moda e sembra sconveniente citarlo, quei contadini, quei poveri di Brecht non sono forse i contadini e i poveri di sempre? E gli azzeccagarbugli che spadroneggiano nel circo/tribunale della scena brechtiana sono poi così diversi dai “sofisti” presi di mira ne “Le nuvole”? Direi proprio di no, gli abili parolai sono sempre al servizio del censo. Ne “Le nuvole” viene preso di mira anche Socrate inserito nel novero dei sofisti, ma come, direte, anche lui che è stato il padre del pensiero e forse il primo uomo moderno? Sì anche lui, secondo Aristofane soprattutto lui, per due motivi: intanto come già rilevato nella tranche sulla tragedia, la nascita del pensiero razionale mina alle fondamenta il mondo classico e poi il fatto che con la parola si possa dimostrare tutto e il contrario di tutto diventa l’anticamera della retorica elevata a sistema, della politica che diventa soprattutto propaganda. Pochissimi anni dopo l’età di Aristofane il mondo classico infatti finisce, la democrazia viene annientata e non risorgerà più come era prima e la stessa Atene inizierà un declino vertiginoso fra guerre e colpi di stato. Socrate dopotutto è stato il maestro di Alcibiade, il grande traditore dei valori ateniesi, di Crizia, il capo dei trenta tiranni e di molti altri rampolli poi membri del collegio dittatoriale. Al termine dell’avventura dei trenta tiranni viene restaurata la democrazia che fra i primi provvedimenti suicida Socrate, come fosse un estremo tentativo di ritornare allo spirito dell’età d’oro. Aristofane era già morto prima della guerra, del colpo di stato e della restaurazione democratica, ma sembra che Brecht gli sia sopravvissuto proprio per vivere le stesse situazioni. Dagli anni pieni di entusiasmo degli esordi durante la Repubblica di Weimar, all’avvento del nazismo, alla tragedia della guerra e alla democrazia tradita della DDR. Forse così si spiega il passaggio dall’incanto al disincanto, che non è rassegnazione ma…

La guerra che verrà
Non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima
c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente egualmente.

Fra le righe di questa poesia di Brecht si può anche vedere il materialismo storico, nemmeno troppo in controluce; personalmente credo che sia semplicemente una realistica presa di coscienza di come siano andate le cose sinora. Non c’é rassegnazione, almeno in senso assoluto, almeno sino a che messi in ridicolo ci sono anche i contadini, alla ricerca di interessi di piccolo cabotaggio, come lo sono in questa opera. Il canone classico della commedia è mettere in ridicolo per spronare ad un cambiamento. Brecht non invita i suoi personaggi contadini ad ottenere piccole soddisfazioni magari a discapito di altri contadini, semmai vuole dimostrare che, sino a quando vigerà fra di loro questa mentalità, nessuno spiraglio nella secolare storia di sottomissione potrà aprirsi. I ricchi no, i ricchi e i potenti fanno squadra, vanno d’accordo, appunto, per mantenere lo status quo che permette loro di essere quello che sono. Infatti anche in questa commedia c’è il classico banchetto finale, ma non per tutti in una strada di Atene, perché a fare ribotta sono solo i ricchi. Il loro non è un banchetto che festeggia aristofanescamente il superamento del problema, la catarsi; celebra invece il superamento del loro specifico problema, riportando la situazione esattamente come era prima, quindi mantenendo il problema sociale evidenziato dalla commedia. Perché come laconicaente dice Brecht verso la fine dell’opera:

“…invincibile rimane l’antica differenza,
quella tra il ricco e il povero.
Il contadino voleva esser la lenza
ma l’han pescato,
non fa più resistenza…“

Brecht non era ottimista e non lascia intravedere barlumi di ottimismo, ma personalmente voglio sempre, secondo i canoni della commedia, pensare che il suo sia un evidenziare il problema in maniera cruda per stimolare ad una possibile catarsi. Quella stessa catarsi, rinascita, che sempre avviene nella tragedia, è possibile solamente dopo una razionale, forse cinica, presa di coscienza di cosa si è. E lo spettatore non si senta solo uno spettatore che tanto non tocca a lui provare a cambiare la situazione di un posto immaginario in un’epoca immaginaria. Con i classici non si è mai solo pubblico: i personaggi sono immaginari, gli attori li interpretano, ma quei personaggi, quel paese, quell’epoca è qui, è nelle nostre vite, per le nostre strade, anche se preferiamo non vederlo, non saperlo. Per evitare questo esiste la commedia, esiste il teatro, esiste la letteratura; per evitare l’indifferenza, il “che c’entriamo noi?”, per evitare la delega ad un attore o a chicchessia ad analisi e possibili risposte che siamo chiamati a formulare e cercare. L’opera pone domande allo spettatore e lo invita a cercare possibili risposte. Per questo motivo ha scritto Brecht, ha scritto Aristofane e hanno scritto molti altri; per posizionare uno spot su un lato oscuro della scena, là dove avvengono misfatti e crudeltà, uno spot che fa luce dove nessuno avrebbe mai illuminato, dove tutto sarebbe rimasto celato.

Affermare che un autore è “classico” significa soprattutto dire che è “attuale”, che le sue pagine possono essere state scritte ieri o ottanta anni fa o due o ventiquattro secoli or sono, non importa di cosa parli nella fattispecie. In questa opera, oltre alla visione di insieme che è classica, universale, ci sono alcuni spunti che… Io non faccio mai riassunti delle opere di cui tratto invitando alla lettura delle stesse e così anche questa volta. Vorrei per concludere evidenziare il tocco del grande artista che mette in mano al “potere” la leva per esercitare il “divide et imperat”. Ci sono sempre e sono sempre facili da individuare o inventare motivi per creare la guerra fra poveri, che è quella nella quale ci sono soltanto sconfitti, per forza i poveri sono sempre perdenti, se i ricchi non ci sono perdono tutti. Così differenze razziali, sociali, culturali possono all’occorrenza servire a creare quel fumo negli occhi che impedisce di guardare in faccia i problemi per quello che sono. Poco importa che la differenza sia fittizia, surreale fra teste rotonde o teste a punta, perché eventualmente ci potranno essere altre teste di altre forme o qualsiasi possibile differenza per additare un “altro”, un nemico. Un nemico che non lo è, che non esiste; un feticcio costruito ad arte per focalizzare l’attenzione, per incanalare la rabbia, la tensione, l’odio. Così finalmente anche il più derelitto potrà vivere una sorta di revanchismo su qualcuno, un revanchismo sterile, ma lì per lì vallo a capire. Potrei fare dei paralleli con moltissimi casi, sia storici che attuali, di come questo meccanismo sia stato attivato con suprema maestria, ma per quelli storici chi se ne importa ormai e per quelli di oggi… beh chi vuole può cercarli e cercarseli senza scomodarsi troppo. L’arte insegue ancora l’utopia, proprio come era nel mondo classico, l’utopia di poter incidere sul mondo. Per questo non reputo questa opera e Brecht in generale soltanto cinici, l’arte non è mai soltanto cinica seppure lo passa apparire: il disincanto deriva dall’incanto o ad esso tende. Cinismo e utopia, disincanto ed incanto vanno a braccetto in “Teste tonde e teste a punta ovvero ricco e ricco vanno d’accordo”, sembrano stadi sospesi fra il detto e il non detto, fra il rappresentato e il non rappresentabile. Così come in Aristofane e in particolare in una sua opera considerata minore dove cinismo ed utopia, non solo vanno a braccetto, ma si mischiano fra loro apparendo indistinte in uno scenario surreale. Sto parlando di “Le donne al parlamento” (che per inciso sto traducendo e riadattando e che in un futuro piuttosto prossimo dovrei portare in scena) nella quale avviene un meccanismo contrario, cioè ad un’analisi cinica della realtà segue l’attuazione di una utopia che però si rivela assurda e campata per aria e si torna a ristabilire una situazione simile a quella precedente, ma corretta negli errori più evidenti. Credo che Brecht si auspicasse questo al termine della guerra e al ritorno in Germania (DDR), ma qui vi trovò radicalizzata la rappresentazione di un’utopia ben più “hard” di quella aristofanesca e poco incline a correggere qualsiasi tipo di errore. La rappresentazione di un’utopia che nasce dall’impulso ad eliminare quei poveri secolari protagonisti di “Teste tonde e teste a punta ovvero ricco e ricco vanno d’accordo”, ma che vede poi davanti ai propri occhi crearne altri e sottometterli in nome di un interesse generale. Un nuovo status quo che però non inverte né modifica nessun ordine dei fattori, e poco importa che non siano più i nobili, i chierici o gli azzeccagarbugli a detenere il potere, ma burocrati in modo assoluto tradendo i principi nei quali credevano… o che dicevano di credere. La vicenda brechtiana non vedrà altro che conclamarsi sempre la medesima situazione, ma uno spiraglio c’è, lo spot che illumina il buio recondito esiste… è quel potere che nessun ricco, proprietario terriero, chierico o burocrate può usurpare (ci può usurpare) come lascia intravedere Brecht in questa poesia conclusiva:

Ho sentito che non volete imparare niente 

Ho sentito che non volete imparare niente.
Deduco: siete milionari.
Il vostro futuro è assicurato – esso è
Davanti a voi in piena luce. I vostri genitori
Hanno fatto sì che i vostri piedi
Non urtino nessuna pietra. Allora non devi
Imparare niente. Così come sei
Puoi rimanere.
E se, nonostante ciò, ci sono delle difficoltà, dato che i tempi,
Come ho sentito, sono insicuri
Hai i tuoi capi che ti dicono esattamente
Ciò che devi fare affinché stiate bene.
Essi hanno letto i libri di quelli
Che sanno le verità
Che hanno validità in tutti i tempi
E le ricette che aiutano sempre.
Dato che ci sono così tanti che pensano per te
Non devi muovere un dito.
Però, se non fosse così
Allora dovresti studiare!

Renato Barletti ©2017

Potete seguire Renato ogni sabato in “Suggestioni e percorsi poetici