A volte pare una vecchia cariatide appoggiata al proprio ritratto, in questo caso però invecchiato anch’esso con lei, come la reminiscenza di antichi momenti di gloria. Anzi lo pare spesso, tanto nelle innumerevoli filastrocche (colte o ignoranti fa lo stesso) che infarciscono antologie, premi vari, social, libri o sedicenti tali, quanto nella percezione stessa ampiamente diffusa. Innanzitutto vorrei incominciare con il dire che non tutto quello che si scrive o si pubblica è Poesia, anzi molto di quello che si scrive e si pubblica non lo è per niente; la Poesia è innanzitutto un “genere letterario” scritto in una determinata lingua. Un genere letterario che però non è cristallizzato nei modelli secolari propinati e facilmente digeribili: quando diventa cliché si devitalizza e se non si rigenera smette di esistere o, peggio, vive in clandestinità.
Il senso della Poesia, dell’arte in generale, è quello di offrire un punto di vista del mondo con parametri “diversi”, un paio di lenti che ad ogni lettore potranno rivelare una realtà distorta, ingannatrice, rivelatrice, illuminante, a seconda della sensibilità dell’autore e della personale rielaborazione di ogni singolo lettore. Il mio maestro, Edoardo Sanguineti, definiva questo “la funzione sociale del poeta”, in un mondo che tende ad appiattire i punti di vista per offrire una visione della realtà quanto più conforme possibile, unica, univoca, unidirezionale.
“Il faut etre absolutement modernes”
Ecco perché la Poesia nel XXI secolo non può assolutamente essere riproduzione, stereotipo, cantilena, ma deve per sue proprie natura ed elezione rappresentarsi quale veicolo e strumento di sensazioni, emozioni, sentimenti, visioni e idee attraverso forme “contemporanee”. E se poi il “mondo” che vede e descrive un artista sia reale o irreale poco importa, ha una sua vita, effimera virtuale parziale quanto si voglia, ma una vita che trova il proprio senso in una osmosi continua e imprescindibile con il mondo che la circonda e con l’uditorio che riesce a raggiungere. La Poesia, anche quando può apparire astrazione pura, ha il proprio habitat e la sua stessa ragione di esistere nelle strade del mondo in mezzo alle persone, anche se si aggira clandestina o come una stracciona o nelle vesti di un clown, un madonnaro, un bambino che gioca, un riflesso sul vetro o cos’altro…
chissà?
“Ohelia è dietro la finestra mai nessuno le ha detto che è bella
a soli ventidue anni è già una vecchia zitella
la sua morte sarà molto romantica trasformandosi in oro se ne andrà
per adesso cammina avanti e indietro in Via della Povertà”
(Bob Dylan nella traduzione di Fabrizio De André)
OPHELIA (destino…)
…le unghie affilate della tua mano
conficcate nella bocca dello stomaco
scavano pertugi di sgomento
scavano raschiano se ne vanno
e rimane l’amaro di acidi mai digeriti
tu sei andata a sederti sulle ginocchia
di rime baciate fra cuore fiore e amore
per non perdere il vizio di essere viva
di avere ancora un posto riservato
tra le ultime file del loggione demodé
confusa fra bellezze meno belle di te
dispersa tra i ricordi che hanno di te
applaudire alla recita dei tuoi cliché
io basta
non ne voglio più sapere
non ti voglio più sognare
…..ma una notte buia
la tua mano mi manda un biglietto
“ho voglia di te sei il più grande il più vero poeta che c’è”
vezzeggiato blandito palpato inorgoglito
un istante soltanto dal fedifrago messaggero
“lascia stare la mia impettita solitudine
continua a brindare con i tuoi amici rimatori
ridondanti signori: champagne!!!!”
…..e il tarlo delle unghie solletica la mente
trafigge pensieri latenti sempre pronti
a scattare sulle strisce dell’arcobaleno
negli incantevoli dialoghi tra fughe e ritorni
nel tormento di gioia nell’euforia di dolore
..…e via sull’ottovolante delle nuvole
in mezzo a pesci mai visti finora
sopra fiumi anneriti dal fumo
fra stalattiti di ghiaccio e di fuoco
sotto ali di corvi giganti
nel tuo ventre di mamma e di mano
che guida l’imprescindibile anelito….
di nuovo di nuovo qui di nuovo in me
musica e pioggia di colori e d’incenso
violoncelli di sfondo a tramonti sul mare
palpiti allungati fino a dove si vede
meridiani che avvolgono il mondo
parole che sgorgano a fiotti di sangue
sul pavimento che diventa piscina
sulla tua mano che graffia la pelle
metamorfosi d’amore fluttuante
sentimento bifronte contrastante
nell’odio del prossimo addio
basta ora basta per sempre basta
vai via chiudo a chiave la porta
vai con quei fogli a brindare laggiù
tu mi chiedi la morte dissanguata
l’alveo secco di un fiume d’agosto
la mia morte è la tua vita
la mia vita a piccole gocce
come linfa per i tuoi calici levati al cielo
al gran galà dei tuoi amici astemi
brinda brinda con loro brindate alla notte
brindate con l’acqua niente gocce
del mio sangue per oggi per mai
tritate quelle parole rimasticate
come marmellate di corone d’alloro
versi sdruccioli dell’acqua augurale
di un domani fatto di ieri
il mio domani nel silenzio assoluto
di una mano mozzata di netto
intrappolata in un crampo fatale….
ma tanto sai che prima o poi
il mio/tuo destino busserà alla porta
e la mano come coda di lucertola
scivolerà sui tasti in controluce
per versare qualche goccia di schiuma
nei tuoi calici assetati ormai arsi
sospesi e svuotati nella notte dei tempi
da un nulla che devi riempire
per essere la più bella delle belle
la più brillante fra le stelle
in prima fila centrale in platea
allo spettacolo del tuo rinverdire
della tua vita che versa a tutti la linfa
della mia vita che perde le gocce
della tua vita che minaccia speranze
della mia vita che illumina l’istante
della tua vita che torna a brindare
alla mia faccia di viticultore
alla mano che raccoglie la feccia
sul fondo della botte ormai vuota
negli ultimi versi crocefissi sulla bara
N.B.: è questione di punti vista, linguaggi, generi, modalità espressive, ma gli stati d’animo ed i sentimenti sono i medesimi. L’idea di “Ophelia” ed il mio rapporto con lei che sia Poesia o che sia racconto… clicca qui
Renato Barletti ©2017
Potete seguire Renato ogni sabato in :