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Qualche Natale or sono volevo regalare dei libri ma non sapevo quali, eravamo intorno al ventidue o ventitré così ne andai alla ricerca iniziando dalle due “major” italiane, case editrici e catene di negozi. Due major che si vogliono differenziare per scelte e linee editoriali, impostazioni letterarie ed anche posizioni sociali e politiche, eppure entrando nei due megastore mi sì presentò una scena pressoché identica. La differenza era sostanzialmente nella planimetria dei negozi, uno è disposto principalmente su un piano con alcune sale al piano di sotto, mentre nell’altro appena entrati si presenta una grande scala che porta ai piani superiori. Ebbene in entrambi pochissimi metri dopo le entrate si innalzavano due cataste di libri, adesso che ci penso forse in uno dei due erano impilati a piramide mentre nell’altro a cubo, non ne sono certo ma credo di ricordare così. Penserete: “ma di cosa sta parlando?” oppure “che importanza ha?”… no no, è importante perché la conformazione e l’ubicazione delle due/quattro cataste è fondamentale per comprendere gli indirizzi editoriali delle due major che messe insieme sono almeno i tre quarti del mondo editoriale italiano. Infatti solo quelle erano le differenze dal momento che le coppie di cataste poste come colonne all’ingesso di un tempio (del sapere?!?) erano formate con i medesimi libri, che sembrava si guardassero uno con l’altro come rappresentanti di due generi letterari. Potrei omettere di specificare titoli ed autori visto che non sono stato l’unico ad entrare in quegli store in quei giorni e poi presumo che tali composizioni fossero strategicamente studiate e replicate nelle varie filiali di gran parte d’Italia. Insomma i due libri erano quello annuale del solito immarcescibile giornalista televisivo e l’autobiografia di un re del gossip finito in carcere. Due generi, due filosofie di vita, due stili letterari, due weltanschauung, due e basta che accompagnavano l’ingresso nel tempio del libro, della lettura. Personalmente credo siano sacrosante fesserie le frasi/invito tipo “regala un libro” o “un libro è sempre un libro” o “basta che si legga”, nelle quali si pone l’oggetto libro come finalità, l’oggetto libro che invece è mezzo, veicolo di ciò che ci sta scritto dentro: monsieur de La Palice! Vorrei come minimo che quando si parla di cultura, sapere, letteratura, ecc. si evitassero sovrapposizioni identificative fra contenitore e contenuto. Evidentemente non è così: il libro vale in base a quanto oggetto di consumo esso sia o possa diventarere, punto e basta, chiunque lo scriva, di qualsiasi cosa parli e di come sia scritto. Un libro deve generare numeri sul mercato e il lavoro di editing consiste nel pubblicare proporre libri a questo scopo. Ma quanto paga questa politica editoriale? A consultare i “numeri” a livello europeo e mondiale parrebbe proprio poco in quanto l’Italia risulta ultima nell’Unione Europea e fra le ultime nel mondo per vendite di libri e di conseguenza per lettura. Riformulo la domanda: ma allora chi ripaga questa politica editoriale? beh, è ovvio: chi la fa, chi la determina, chi monopolizza il settore (monopolio è anche il duopolio o il cartello). Più si rende indistinta la qualità del libro, più si può spacciare per libro il prossimo best seller narrativo, saggistico, umoristico, autobiografico. Certo vengono pubblicati buoni libri, anche dalle major, ma lo fa soprattutto un’editoria di nicchia con autori di nicchia per lettori di nicchia che personalmente stimo al massimo in un dieci per cento del tutto, non di più. In una realtà indistinta non è difficile fare delle scelte (non scelte), si allunga la mano verso una delle due cataste, una bella carta con le renne e gli abeti, un fiocco dorato: leggi un libro, regala un libro (magia un panettone, regala un panettone). Quello straordinario intellettuale a tutto tondo che era Theophile Gautier scrisse un articolo in polemica con chi asseriva che “tutto è arte” affermando per contro:
“se tutto è arte l’arte è niente, se l’arte è niente l’arte è merda… tutto è merda”.
La parafrasi che potrei fare al riguardo risulta chiara e non c’è bisogno che la scriva, se tutto è cultura quelle due cataste sono cultura e quei libri sono “libri” anche essi da leggere e regalare pensando di acculturarsi e o di regalare cultura, basta essere chiari a priori… non riesco a dirlo nemmeno ironicamente! E poi conta sempre quello che c’è scritto dentro un libro e se un libro vale come oggetto perché non valgono parimenti le mani che come scrive Wislawa Szymborska: “con le mani si può scrivere Mein Kampf o Winnie the Pooh”, quasi la stessa cosa, no?
Dino Campana definiva l’editoria del proprio tempo “l’industria del cadavere” perché a suo modo di vedere (anche a mio) i suoi prodotti erano cose vecchie rieditate all’infinito da secoli. Le cose sono cambiate nel secolo successivo e credo che non si possa più parlare di cadaveri, almeno non di cadaveri umani; sì perché quelli erano i cadaveri di un passato che fu e che stentava a rinnovarsi, mentre oggi mi paiono i cadaveri di qualcosa che non è mia esistito. Ecco forse gli illustri scrittori autori dei libri delle due cataste sono alieni in missione sulla terra per colonizzarla culturalmente… altro che Winnie the Pooh! Gli scrittori o gli editori non saprei bene, forse i secondi.
Regalate un libro per Natale quindi. Perché è sempre il regalo migliore, quello più di qualità, quello che vi distingue, ma magari riflettete su queste quattro righe prima di sceglierlo e non attingete da cataste simili, cercate cercate che magari fra gli scaffali c’è qualcosa di “diverso” dall’ultimo annuale libro del solito immarcescibile giornalista televisivo (sempre lui anche quest’anno!) e l’autobiografia di qualche altro re o regina del gossip seppur a piede libero.
Non vi tedio ancora con l’acrimonia che potrei ulteriormente dimostrare verso l’industria del cadavere e termino con una storiella che illustra bene il lavoro di parecchie piccole case editrici che teoricamente dovrebbero far parte di quel dieci per cento di qualità. Quest’anno, come negli ultimi sei o sette invio ad un illustre premio letterario nazionale con alto patrocinio di enti vari organizzato da una casa editrice una mia poesia, non la stessa, una diversa ogni anno. Il premio consiste nella scelta dei quattro autori delle quattro migliori poesie per formare un libro collettivo composto da quindici poesie per ciascuno. Ovviamente ogni anno la mia poesia è entrata nel novero delle quattro migliori (beh certo se le sognano poesie come le mie visto la roba che pubblicano). Puntualmente ogni anno mi arriva una lettera che recita all’incirca così: “la sua poesia tal dei tali è stata considerata fra le quattro migliori per l’alto valore artistico e la invitiamo ad inviarci altre quattordici sue poesie per la pubblicazione della silloge dei quattro autori scelti”. Un paio di mesi dopo arriva un’altra lettera che recita all’incirca così: “abbiamo preparato le bozze per la silloge dei quattro poeti premiati di cui fa parte, la invitiamo a inviarci tramite bonifico bancario o bollettino postale la cifra tot prima della stampa dell’opera”. A questa lettera non rispondo mai e la cosa finisce lì. Devo scrivere altro o basta l’esempio per capire sino a dove si è spinta l’industria del cadavere, anzi del cadaverino?
P.S.: sicuramente anche il prossimo anno parteciperò e senz’altro sarò nel novero dei quattro premiati e chiaramente non risponderò alla lettera, ma mi sorge un dubbio: ma non si accorgono che premiano sempre lo stesso al quale non riescono a spillare nulla oppure se ne accorgono e pensano che per sfinimento fra una ventina di anni riusciranno a spillarmi qualcosa? https://appealpower.com/2017/11/25/la-scrittura-creativa-creativa-by-renato-barletti/
Renato Barletti ©2018
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