Cercando un file dentro vecchie chiavette mi sono imbattuto in una cosa scritta molto tempo fa e che mi ha fatto piacere rileggere.
(“rileggersi, come gustare profumi intravisti nel suono del toccarsi dentro”)
Si tratta di un pezzo che avevo scritto quando pubblicai il mio primo libro di Poesia: LA STRADA E IL SOGNO. Lo scrissi per cercare di spiegare il senso di questi due termini e del rapporto fra di loro all’interno della mia poetica, ma poi decisi di non pubblicarlo, di non dare ulteriori spiegazioni, di lasciarli vivere per conto proprio. Si trattava di una specie di postfazione, una spiegazione a posteriori per chi avesse letto il libro, no no meglio lasciar perdere. E il file è rimasto in quella chiavetta tutti questi anni. Non che questi due termini e il loro dinamico interagire non siano importanti per me, tutt’altro: sono essenziali, sono il tutto in cui far vivere la Poesia, l’arte, la creatività. Lo sono al punto che venti anni dopo ho pubblicato un altro libro di Poesia: LA STRADA E IL SOGNO… apparentemente lo stesso titolo, apparentemente con sfumatura. E sono certo che il prossimo si intitolerà LA STRADA E IL SOGNO magari fra parentesi oppure con un punto interrogativo o esclamativo, sfumature appunto. Nel pezzo c’è molta emotività e rileggendolo colgo lo stile acerbo di un giovane poeta all’esordio con tanta voglia di scrivere e di far conoscere al mondo le proprie visioni artistiche. Però spiega sufficientemente bene il senso del mio sentire e mi fa piacere renderlo pubblico, anche se davvero mi fa sorridere per come ero, per come mi esprimevo, per come “ci credevo”, per come “credevo” in questa forma d’arte, per come la vedevo con gli occhi da innamorato (che comunque ho ancora). Ecco mi sentirei di aggiungere solo l’immagine (che mi ricordavo di averla scritta qui, ma poi evidentemente l’ho cancellata) dei poli che si attraggono e respingono, attraggono o respingono a seconda dei momenti, le situazioni, gli stati d’animo, i rapporti con gli altri e il mondo
DUE PAROLE, DA LEGGERE
(ASSOLUTAMENTE ALLA FINE )
Nel volgere di qualche anno ho scritto un po’ di poesie, poi le ho divise in tre sezioni che sono tre momenti della mia vita, tre stati d’animo, tre tappe di un cammino, tre modi di porre lo sguardo e quando ho ritenuto conclusa la raccolta, un certo momento poetico ed esistenziale, vi ho apposto un titolo che è la sintesi estrema di tutto.
A distanza di alcuni mesi, rileggendo, mi sono ripassati davanti quegli anni e quel momento ed ho avvertito il bisogno di scrivere qualcosa che ponesse effettivamente la parola fine e rappresentasse il dopo, seppur soltanto il punto di vista successivo. Ma cosa? una prefazione? una critica-auto? uno spot? Nulla di tutto ciò, semplicemente una riflessione ad alta voce dopo una rilettura, non solo delle poesie, ma di me stesso e della mia poetica.
Scrivere di sé.. opera da presuntuoso seduttore. Ma non è già seduzione esprimersi, mostrarsi nudo con la propria forza e le proprie debolezze? E non è presunzione affermare di possedere una poetica e dichiararsi fuori dal coro? E non è soltanto un presuntuoso seduttore che può credere in se stesso al punto di ostinarsi a dire di voler cambiare il mondo e pensare di poterlo fare veramente? E non è tutta qui l’essenza dello scrivere, della poesia, dell’arte, della vita? In questa accecante illusione, per molti chimera, per pochi attuazione; per ognuno comunque anelito, respiro, desiderio. Sogno e Strada insieme, due termini a me cari, che tornano sempre, due luoghi, due stati che possono creare drammatiche tensioni o produrre armonia. Essi nella loro antitesi e contiguità simboleggiano l’anima e il corpo, il cuore e la ragione, l’esprit de finesse e l’esprit de geometrie, la fede e la scienza, l’intuizione e la razionalità; il possibile e l’effettivo che l’arte ingloba nel proprio abbraccio e fonde in un’unica essenza, la propria verità: la sua strada e il suo sogno, appunto.
Sono tutte grida le mie: di gioia o di dolore, però urlate a squarciagola affinché lontano, lontanissimo, qualcuno le possa ascoltare. Lontano da questa terra che è confine geografico, ma anche limite del perimetro di una cella. Un mondo verticale che fra promontorio e promontorio racchiude un cosmo finito di per sé ed in sé chiuso, dinnanzi a quello squarcio d’infinito che è il mare. E mi sembra di vederli, Sbarbaro, Montale e gli altri poeti di Liguria, camminare lungo i viottoli che risalgono questi promontori e sedersi con lo sguardo smarrito nell’azzurro di quell’infinito, contemplando il proprio immarcescibile sogno e la propria solenne solitudine: l’avvolgente, ineluttabile male di vivere. E mi sembra di vederlo, Calvino ragazzo, correre per quegli stessi angusti sentieri fuggendo la vanità di questa città-cartolina e poi andare per il mondo inventando altre città, in Oriente, in America, nel passato e nel futuro, città che soddisfacessero la propria ineludibile sete di umanità; il bisogno di persone, non solo personaggi da conoscere.
Ecco la smania (che mi fa sorridere rileggendomi) di voler parlare di tutto e di tutto fare un motivo per scrivere: è l’ansia di avere da dire (a chi? a dei fogli di carta? a quattro amici? al mondo? all’eternità?) e aver detto poco, forse mai; sentire di non conoscere altra possibilità di dire se non questa, magari uscendo da un cristallino ambito poetico e recando qua, come occasioni, frammenti impazziti di cronaca, storia, politica, psicologia, forse anche di filosofia e religione. Ma, senza indagare su cosa sia o meno poesia, voglio semplicemente affermare quanto tutto questo Sturm und Drang tematico ed ideologico mi sia stato necessario per vivere, in mezzo all’indifferenza di questa quotidianità; quanto abbia rappresentato l’occasione per nutrirmi e continuare a sognare, schiacciato dalla montagna e perso nell’immensità del mare, magari al crepuscolo o all’aurora, quando tutto ha un altro sapore, persino la solitudine. Allora voglio anche dire che Poesia è l’uomo che si pone con la propria interiorità nel mondo ed in ogni caso egli non può vederne che una porzione, più grande o più piccola poco importa, posta fra sé e l’orizzonte. Ed il mio orizzonte è stato questo, in bilico fra tutte le possibilità ipotetiche e poche reali o nessuna reale, tra il cavo elettrico della rete comunicativa globale e quell’uomo, conosciuto da sempre, che mi incontra per strada ed a bocca mezza chiusa mi fa un cenno come di saluto con il capo, quando, più di frquente, non gira il viso dall’altra parte e continua per il proprio marciapiede. Alla fine ho condotto il discorso su “cos’è Poesia”, almeno secondo me, e inevitabilmente vi ho fatto stare dentro le mie poesie, eppure rileggermi continua a farmi sorridere.
Forse ho fatto troppa analisi e poca analogia e probabilmente sto ancora facendo così, forse ho sollevato troppi perché, andando con il lanternino alla ricerca di risposte un po’ plausibili un po’ provocatorie, oppure più semplicemente non ne ho cercate e non mi sono fatto contagiare da quelle belle e confezionate con eleganti e vaporosi fiocchi rosa… o azzurri… o rossi… o…
E di questo in ogni caso sono fiero, anche se a certezze ho opposto dubbi, se di fronte ad abiti lussuosi mi sono presentato, senza chiedere nessuna carità, con un saio intessuto con il filo spesso del mio orgoglio; oppure sono cascato nelle pozze di un facile moralismo che tutto distrugge e poco crea? Un po’ sì, certamente, ma “forse” e “magari” sono le parole che maggiormente amo usare ed il punto interrogativo è l’antidoto più valido contro i moralismi e la seriosità. E i puntini puntini un ponte, un trampolino far il sé e il mondo, fra il certo e l’ignoto, il presente e il chissà, la montagna e il mare, quello che tocchi e la fantasia, l’amore e l’idea dell’amore, il tuo corpo e le mie mani, la voce e l’ascolto, l’alba e ogni possibile giorno…
…il giovane poeta idealista e sognatore. Nulla da aggiungere in questi successivi trenta anni, forse un po’ di stile migliorato, forse una maggiore libertà interiore, forse altre cose ma… vogliamo paragonare qualsiasi tipo di saggezza o padronanza con il sentimento di “voler cambiare il mondo”? con il sentimento e la certezza di poterlo fare e di cercare di farlo attraverso l’arte, attraverso la Poesia: FOREVER YOUNG, avere venti anni tutta la vita, questa è l’irrinunciabile immutabile innata
UTOPIA
della Poesia, dell’arte, de LA STRADA E IL SOGNO (qualsiasi segno grafico aggiuntivo ci sarà la prossima volta), vivendo cullato da un anelito che ha scritto a caratteri cubitali nel mio destino:
“morirò nel 2084 guardando l’aurora boreale
mano nella mano con il mio ultimo amore
la notte dopo la consegna del Nobel”
Renato Barletti ©2018
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