Ognuno, si sa, ha una sua esclusiva “colonna sonora”: canzoni e melodie che hanno accompagnato momenti importanti, o che sono entrati nella testa e nel cuore per non uscirne più. Io, da autore, ascolto quasi sempre musica mentre scrivo: la scelgo in base all’umore del momento o alla storia che sto raccontando. La musica occupa un posto importante nel mio mondo e si intreccia spesso con la scrittura e la lettura. A tal proposito, durante il mio stage da redattore alla Giunti ho avuto il piacere di leggere (e l’incarico di rivedere) in anteprima la traduzione italiana del romanzo di Rachel Joyce Il negozio di musica (The Music Shop nell’originale, uscito nel 2017).

Si tratta di un romanzo molto particolare, una vera chicca per gli appassionati di musica – di qualunque genere, dalla classica alla leggera – ma non solo. Direi anzi che è un libro per tutti. Io l’ho apprezzato per la profonda umanità dei personaggi, oltre che per le frequenti citazioni di compositori antichi e moderni a me cari (e per la scoperta di altri autori che non conoscevo).

Il libro è strutturato come una sorta di doppio concept album di quattro parti (i “lati” A, B, C e D) e una «traccia nascosta» che funge da epilogo. I capitoli richiamano spesso i titoli di brani celebri. La trama è molto semplice e la scrittura scorrevole. La vicenda parte nell’Inghilterra della seconda metà degli anni Ottanta (io ho un ricordo nebuloso e incantato di quel decennio: ero un bambino); nel piccolo mondo di Unity Street – dove si svolge la routine quotidiana della comunità di piccoli negozianti in un clima di cordialità e confidenza – Frank, «una specie di orso bonario che fumava e vendeva musica»[1], gestisce il suo piccolo spazio in cui tiene esclusivamente vinili, ponendo un’eroica e caparbia resistenza agli allora emergenti CD. Attorno a lui si muove una pittoresca fauna urbana: la tatuatrice Maud, padre Anthony con la sua boutique di oggettistica religiosa, un panettiere polacco, i gestori di un’agenzia di pompe funebri, eccetera.

Frank è un intenditore e ha una peculiarità riguardo alla musica: «Classica, rock, jazz, blues, heavy metal, punk. Purché si trattasse di vinili, non esistevano tabù e se spiegavi a Frank cosa volevi, o anche solo di che umore eri quel giorno, in pochi minuti ti trovava il brano giusto. Era un suo talento. Un dono. Sapeva di cosa gli altri avessero bisogno, anche quando loro non lo sapevano»[2]. Questo talento si è affinato fin dall’infanzia, quando la madre, Peg (personaggio piuttosto bohémienne e sopra le righe, ma profondamente umano), lo ha iniziato ad un ascolto consapevole, raccontandogli aneddoti su Vivaldi, Beethoven e altri grandi. Il ricordo della madre, morta prematuramente, è un leit motiv e ritorna in frequenti flash back nel corso del romanzo: in particolare mi ha colpito un’osservazione della donna riguardo all’importanza del silenzio e delle pause nei pezzi musicali:

 

«La musica viene dal silenzio, e alla fine vi ritorna… un viaggio. Capisci? […] E naturalmente il silenzio che si sente prima dell’inizio di un brano musicale è sempre diverso da quello che si sente alla fine.»[3]

 

Tutto scorre più o meno tranquillamente fino all’arrivo in negozio di una misteriosa e affascinante ragazza tedesca, Ilse. Da quel momento in poi, la vita di Frank non sarà più la stessa…

 

Un libro da leggere e da rileggere; consiglio di tenere aperta, durante la lettura, una pagina di Youtube per ricercare i brani citati… anche se un giradischi con i vinili, nel limite delle possibilità, sarebbe decisamente meglio.

 

Note:

[1] R. Joyce, Il negozio di musica, Firenze, Giunti, 2018, p. 9.

[2] Ibidem, pp. 9-10.

[3] Ibidem, p. 45.

Massimo Acciai Baggiani ©2018

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