(pubblicato nel contesto di “Art & Culture” N.1 su 60.700.000

come potete verificare clickando qui 14-5-16 CET 5.00)

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(clickando qui potete trovare la 5. puntata)

Bentornati al nostro appuntamento consueto.

Ci eravamo lasciati mentre vi descrivevo il nuovo romanzo in campagna, in attesa di pubblicazione, senza raccontarvi in pieno di cosa è fatta la sua anima di carta.

E dopo la suspense durata una settimana, vi svelo l’arcano.

Di donne, comuni e speciali, nel loro atto più coraggioso, quello che la vita impone: vivere.

Infatti nel titolo si può leggere l’intenzione dell’intero libro. Una vita che si continua a riavvitare su se stessa. Perché questo solitamente fa.

Ogni donna vive la propria esistenza superando gli ostacoli, soffrendo gli intoppi e riavvitando pezzo dopo pezzo, risalendo la china verso il lieto fine a cui è diretta. Dopotutto la colpa è delle favole che ci hanno abituato al “e vissero felici e contenti” e quel tarlo in me è rimasto. La ricerca della felicità, anche nelle piccole cose resta punto fisso per completare la mia giornata, figuriamoci se non mi impegnavo a fondo nei racconti perché restassero fedeli alle intenzioni!

Così una dietro l’altra le storie contenute dentro al romanzo snocciolano pensieri molto intimi dei personaggi, ma di questo vi racconterò la prossima volta. E’ ora di dare spazio a “il giardino Viola”, buona lettura.

 

Così ho pensato che se era la tua strada e ti avvinceva tanto dovevo lasciarti provare. Certo ho sperato cambiassi idea, ma poi immaginarti dietro una scrivania a far la segretaria, o alla cassa di un supermercato, o in un qualunque posto uguale 365 giorni all’anno … so ti avrebbe fatta impazzire. Ora saperti libera di fare ciò che ti piace, realizzata e soddisfatta mi dà il senso del tuo gesto. Dicevo che ho capito perché sei nata, tutto ad un certo punto mi è stato chiaro. Ogni esperienza fatta prima di allora era stata per adattarti e prepararti, educarti e formarti al mondo. Avere in famiglia persone così diverse per gusti e predisposizioni ti ha permesso di spaziare in sport, attività, ideologie lasciandoti aperta ogni strada. Amare e provare il mondo è l’unico modo per entrarci in contatto e anche l’unico per viverlo appieno. Farsi frenare dalle paure, non tentare e restare nel dubbio di certo è il modo migliore per farsi del male, credendo di proteggersi. Parlo per me. Da sempre le mie paure inspiegabili mi hanno trattenuto dal provare ciò che non conoscevo e sentivo pericoloso. Non so nuotare, non so sciare, non volo, non mi immergo… insomma non ti saprei seguire nelle avventure. Non me la saprei cavare nei momenti di bisogno senza uno specialista. Ho preferito  fare scelte che mi fanno sentire al sicuro, che mi danno la monotona routine quotidiana di tutti quelli che non vivono di adrenalina. So cosa mi aspetta e questo mi basta. Anche se ci sei tu che mi fai battere il cuore e vivere sul filo. Aspetto il tuo ritorno per ascoltare la prossima meta. Vivo attraverso i tuoi viaggi, immaginando le meraviglie che mi racconti.

“Quello che facciamo per noi stessi muore con noi, quello che facciamo per gli altri e per il mondo rimane ed è immortale.”

E’ bellissimo che il tuo lavoro ti permetta di non scendere a compromessi mai. Sei libera di cercare al di là dell’apparenza. E’ bello che sia felice facendo quello che fai. Ti ammiro. Poche persone capiscono in tempo cosa vogliono fare nella vita. Molti si accontentano. Altri credono di scegliere la cosa giusta senza conoscersi. Altri ancora seguono la scia. Tu sei voluta rimanere te stessa. Incostante, volubile, libera, vitale. Conoscerti ti ha aiutato a cucirti addosso la vita che fai.

 

Viola respirava profondamente. Chiudendo gli occhi si mise a ripensare alle ultime parole lette. “Conoscerti ti ha aiutato a cucirti addosso la vita che fai”. Aveva un senso. Per anni aveva sbattuto come una pallina contro il muro prendendo ogni direzione ed ai più era sembrato perdesse tempo, facendo la bella vita di una ragazza spensierata. Lei sapeva che ogni esperienza la formava. Ma solo dopo averla provata. Sapeva che tutto aveva un senso, perché era stata educata così. Sua madre non le aveva trasmesso amore per sport o altro, ma per la vita. Per il misterioso senso della vita nascosto in ogni gesto, evento e momento. Le aveva insegnato a guardare oltre a dove guardano tutti. A vedere Dio in ogni piccola cosa, il suo disegno attraverso essa, a goderne e farla propria condividendola con il mondo.

Questo modo di vedere le cose lo aveva applicato all’amore per lo sport che le aveva inculcato la zia. Il suo corpo si adattava ad ogni disciplina provasse, era elastica e scattante, veloce e competitiva. Amava riuscire a farcela. Che si trattasse di correre, camminare, immergersi, nuotare, sciare, pattinare. In effetti non c’era sport che non le piacesse. Da piccola aveva provato tutto dal calcio al tennis, dalla pallavolo al nuoto. Il suo corpo era un potpourri di contaminazioni. Pure lo yoga. Certo non in tutti riscontrava grandi risultati.

Grazie al padre invece aveva imparato a sopravvivere guardandosi intorno, adattandosi ed arrangiandosi. Le lunghe vacanze estive in montagna trascorse a visitare boschi e ruderi antichi erano un arricchimento di nozioni su come un tempo si facesse a meno della tecnologia. Sapeva  riconoscere le erbe selvatiche , trasformarle in tisane curative, raccoglieva i funghi e i frutti del sottobosco, applicava le nozioni di scuola su rocce, piante e animali, osservava il cielo e i repentini cambi per affrontare le escursioni. Non aveva paura, ma si sentiva a casa immersa nella natura. Che si trattasse di mare o  montagna. Il mondo era bello e vario e lei ne faceva parte.

La nonna, poi, l’aveva aiutata a tirare fuori la sua parte artistica. Secondo Nenè tutti si nasce con doti nascoste. Aveva una bella voce, cantava sempre. La musica le dava le ali per volare, la faceva vibrare. Inutilmente tentava di insegnarle a cantare, a prendere almeno le note giuste. Non poteva farsene una ragione che fosse tanto stonata. Sua nipote peggio di una campana rotta. Però amava la musica e questo era abbastanza. Ascoltare il Rondò Veneziano era un piacere da condividere in due mentre si occupavano delle piante disseminate per la stanza. Era il loro momento segreto. Far crescere le piante nella bella musica. Pura emozione. Pareva che la melodia fosse un essere vivente irradiante energia, ogni foglia diventava di un verde più vivido. E poi ballavano sorridenti come due debuttanti lasciandosi andare alle loro personali fantasie. Ah la nonna. Che bello era stato vivere quegli istanti con lei. Ogni volta che sentiva un brano leggermente melodico glielo dedicava con il cuore e lo immaginava come il balletto della sua infanzia. Nenè.

Era grazie a tutti coloro che le erano stati intorno se nel corso della sua vita aveva avuto una formazione così eterogenea. Poi si era raffinata con l’incontro di insegnanti ed amici che avevano visto in lei potenziali su cui lavorare. A scuola erano rimasti molto colpiti dal fatto che una bella ragazza non fosse anche un’oca, ma dotata di intelligenza viva e pungente. Sempre pronta a far domande,  cercare di capire, tentare,  chiedere aiuto.

Era così che era stata allevata, aperta alla vita. Convinta di avere un conto aperto che le dava diritti  precisi. Lei di una cosa era certa: voleva lasciare un segno. Innanzi tutto voleva essere se stessa, possibilmente solo facendo quello che le piaceva.

Imparare il più possibile, vedere il più possibile e vivere il più a lungo possibile. Tante belle aspettative. In effetti era con il suo atteggiamento positivo che riusciva a farsi amici, a trovare disponibilità,  scivolando facilmente avanti. Metteva in atto il detto “aiutati che il ciel ti aiuta”. Mirava dritta all’obiettivo.

Sì, anche di questo, aveva merito o colpa sua madre. Le aveva riempito la testa di assolute certezze lette nei libri e manuali  motivazionali di cui era ghiotta. Secondo “The secret” volere è potere “chiedi, credi ricevi”, secondo “The power” invece “il potere di ottenere tutto ciò che vuoi è dentro di te”. Per la legge dell’attrazione ponendosi nei confronti della vita con atteggiamento positivo si attraevano cose persone e avvenimenti allineati alla gioia. Di fatto era cresciuta a pane e convinzione che fosse in suo potere cambiare il corso delle cose a suo piacimento, o di imparare a farselo piacere comunque fosse andata. Mano a mano che la fanciullezza e le sue debolezze la abbandonavano diventava consapevole di come applicare le teorie acquisite. Atteggiamento costruttivo e ben definito, impegno e tempo ottimizzati, rendevano fattibili le imprese che si impegnava a vincere. Contro la sua voce stonata o la sua mano poco pittorica, poco poteva fare, ma pazienza. Suonare la batteria era come scaricare la rabbia contro un sacco di sabbia per un pugile. Sbatacchiare quella chitarra era riprodurre il lamento di un uccellino spennato. Ma appurato il fatto che era meglio lasciarci perdere ecco … si era messa il cuore in pace. Nemmeno portare i tacchi faceva per lei. Erano così comode le scarpe da ginnastica. E le gonne potevano anche passare di moda, per quello che doveva fare i pantaloni le erano più che sufficienti. Le bastava capire ciò che non le era congeniale, per estrometterlo. Archiviato. Viveva molto meglio, rispetto soprattutto alle altre ragazze che indossavano capi scomodi, ma di moda, anche se mettevano in risalto solo i difetti, rispetto a quelli che non si accorgevano che proprio la cosa su cui si arrovellavano la testa non era adatta.

La globalizzazione aveva inglobato i più. Lei, da un passo indietro, guardava le cose. Stava bene con il suo gruppo. Ognuno bravo in qualche cosa, ognuno se stesso. Appassionati alla musica, allo sport, all’arte tutti diversi da lei. La compensavano e la incuriosivano. Per ognuno di loro il mondo si fermava proprio lì dove arrivavano. Parlare a Lorenzo di qualche cosa che non fosse prettamente fisico e di movimento era noioso. Con Mattia ogni cosa diventava musica. Andare in giro per la strada era divertente. Ogni coperchio una percussione ed ogni occasione quella giusta per tirare fuori dalla tasca la sua armonica da bocca. Due monete non ce le trovavi nemmeno morta, ma quella non poteva mancare. Walter doveva per forza disegnare ogni esperienza. Fumetti, quadri, anche disegni sui muri. Quante fughe per la sua mania di imbrattare in onore dell’arte. Lui povero writer incompreso.

Ognuno a modo suo era chiuso nel proprio mondo, convinto che oltre non si sarebbe trovato bene. Era un nido protettivo o forse un’estensione assoluta del proprio io. Per lei una sola cosa era troppo poco. Poco era poco. Tanto era giusto. Lei amava la natura, starci a contatto, prenderne parte. Adorava fotografare le cose che la sorprendevano facendole scattare un’emozione. Amava andare a fondo nelle cose. Stare a contatto con le persone. Capire i loro mondi a lei oscuri.

Viaggiare. Per conoscere, respirare vivere l’altra parte del mondo che le era nascosta. Ovunque andasse vedeva la meraviglia della mano di Dio. Era una scoperta, una sorpresa e non poteva credere che in realtà così poco le fosse noto. Il mondo era immenso. Lei lo amava. Si era resa conto che il piccolo paese in cui era nata era troppo chiuso per le esperienze che cercava. L’Italia stessa era troppo poco per le emozioni che voleva provare. Il mondo era oltre. Il regalo che aveva avuto era stato bizzarro ed originale, ma era il sintomo della sua “malattia”.

 

 

 

 

…( Nadia torna domenica  prossima in “Anime di Carta”)

Nadia Banaudi ©2016